racconti
Passioni di famiglia
Una storia di tre generazioni di sarti da San Giuliano Terme a Chicago, per inseguire la propria passione, sogni e stabilità economica e, perché no, anche l'amore.
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Era buio già da un paio d’ore e Nunzio Grassini stava ancora puntando sul re di picche nonostante fosse una delle poche carte che il Tagliatore non aveva ancora pagato. Sudava così tanto per l’ansia che era costretto ad asciugare le mani sui pantaloni ripetutamente. Il suo pensiero andava sempre a Marcella. Non riusciva a smettere di pensare a lei così come non riusciva a smettere di giocare. La tubercolosi aveva portato via il grande amore della sua vita e da quel momento non era più lo stesso. Continuava a giocare a Faraone e a puntare su quel maledetto re che non usciva mai fra le carte ‘cattive per il banco’.
Fino a quel tempo, Nunzio era stato il miglior sarto di San Giuliano Terme ma purtroppo dopo la morte della moglie aveva perso ogni ispirazione. Dentro di lui era rimasta soltanto la passione per il gioco: più che una vera passione era diventata un’ossessione.
La disperazione e la necessità di trovare soldi per mantenere Pirro, ormai l’unica gioia della sua vita, lo avevano costretto a rivolgersi ad un gruppo di strozzini che lo tormentavano ripetutamente con la minaccia di prendersi la casa.
Pirro era identico a Marcella. Alto, magro, con gli occhi grandi e profondi che da soli dicevano più di tante parole. Da quando aveva otto anni, Pirro aveva cominciato a lavorare in bottega con il padre e aveva imparato presto tutti i segreti del mestiere.
Pirro cresceva ma Nunzio non se ne rendeva quasi conto, perso tra il gioco e le bevute di troppo. «Padre dove andate via anche stasera?» chiese il figlio preoccupato per le ripetute uscite serali del padre. «Lascia stare, bada alle tue cose e va’ a letto perché domani devi aprire presto».
Quelle furono le ultime parole che Pirro scambiò con il padre perché da quella sera Nunzio non fece più ritorno a casa.
Dopo la morte del padre, rimasto ormai solo, Pirro investì tutte le sue energie nel lavoro. La sua unica vera passione che, da quando Nunzio lo aveva lasciato, era diventata anche la sua unica speranza di sopravvivenza. L’ambizione di cambiare le sorti della propria vita lo spinsero a prendere la decisione più difficile e tentare la fortuna oltreoceano, come facevano in tanti a quell’epoca.
Pirro aveva quindi cominciato una nuova vita a Wineland, in California, portando con sé il suo amore per la sartoria e per le ‘stoffe cucite per bene’ come diceva sempre suo padre Nunzio.
Proprio in California, a Wineland nacque Pietro. Cresciuto tra rocchetti, aghi, fili e modelli, Pietro aveva ereditato la passione per quel mestiere che era di suo padre e che, ancor prima, era stato di suo nonno. Grazie all’aiuto di alcuni parenti del posto e dopo qualche anno di duro lavoro, Pirro riuscì ad accumulare una certa fortuna e si sposò con Rosa, una giovane donna italiana che aveva conosciuto a Wineland e che lavorava come domestica per una ricca famiglia del posto.
Mosso dal desiderio di rivedere la sua amata San Giuliano e di riscattare l’onore e il nome della propria famiglia, Pirro fece rientro in Italia con la moglie e il figlio Pietro ormai undicenne.
Pirro e sua moglie vivevano in una casa piccola ma luminosa nella piazza di San Giuliano Terme. La casa aveva una modesta camera da letto e una cucina che non serviva solo per i pasti ma anche e soprattutto per confezionare gli abiti.
Una mattina Pietro trovò una busta sopra il tavolo della cucina. «Questa è per te» disse il padre. «Chi me l’ha inviata?» rispose Pietro. «Aprila e lo scoprirai». Pietro non sapeva leggere bene e, vista la sua esitazione, il padre prese la lettera e cominciò a leggerla ad alta voce con quel suo strano accento che sapeva ancora tanto di Wineland.
Caro Pietro,
spero che questa lettera ti trovi in buona salute e serenità nella tua amata San Giuliano Terme. Scrivo per proporti qualcosa che potrebbe cambiare il corso delle nostre vite.
Conosco la passione della tua famiglia per i tessuti e ho pensato che potremmo unire le forze per avviare insieme un'attività qui a Chicago.
So che sei un uomo di grande passione per il lavoro e di una personalità forte e determinata, e credo che insieme potremo realizzare qualcosa di straordinario.
Ti invito a considerare questa opportunità con la stessa passione e determinazione che ti contraddistinguono e ad aprirti a nuove possibilità e orizzonti verso un futuro ricco di soddisfazioni. Ti aspetto a Chicago.
Con affetto,
Francesco.
Non aveva compreso tutto il contenuto della lettera e probabilmente neanche il padre. Aveva letto stentatamente e con fatica parole in un italiano in parte sconosciuto. Certo si ricordava di Francesco. Lo aveva incontrato in un paio di occasioni durante la sua permanenza in America. Lo ricordava ben vestito, sempre con i libri in mano, nella sua casa di Lexiton Street. Non gli mancava mai la battuta e aveva l’innata capacità di catturare l’attenzione delle persone con le sue chiacchiere e i suoi racconti.
Pietro guardò il padre che stava con gli occhi fissi sul quaderno dei conti. «Sì, hai il mio permesso» esordì il padre. «Padre, io non ho parlato» rispose Pietro. «Non ne hai bisogno». Poi aggiunse, «Tuo cugino è ricco e ti aiuterà ad avere un futuro migliore».
Il 14 Giugno la nave Conte Biancamano salpò dal porto di Genova. La nave era grande. Il bianco e il blu dello scafo richiamavano i colori del cielo e del mare.
Quando Pietro salì sull’imbarcazione si rese subito conto che non sarebbe stato il viaggio che aveva immaginato. Quel biglietto in terza classe era la chiave che apriva la porta dell’Inferno. Una marea di gente si affollava nel salone, parlava e si agitava creando un terribile frastuono. Pietro, insieme ad altri uomini soli come lui, era stato sistemato nella parte anteriore della nave. Il cattivo odore era nauseante. Capì subito che la sua unica speranza era quella di raggiungere il ponte superiore e stare all’aria aperta.
I giorni passarono lenti, si susseguivano uno dopo l’altro con una monotonia che non faceva altro che portare il ricordo ai genitori e alla sua San Giuliano Terme.
La miseria di quei giorni contrastava con la visione della grandezza dell’Oceano: scuro, profondo, senza fine. Un sentimento di angoscia lo pervadeva ogni volta che ritornava sul ponte ma allo stesso tempo si sforzava di sognare e immaginare una vita diversa, una vita di successi e perché no di ricchezza. Solo così avrebbe potuto ricompensare i genitori che lo avevano sempre sostenuto e aiutato.
Francesco si trovava sul molo in attesa che Pietro scendesse dai ponti della Conte Biancamano. Quando finalmente il momento arrivò, Pietro riconobbe subito il cugino. Si avvicinò e, nonostante i primi momenti di imbarazzo, capì presto che suo cugino era una persona piacevole e simpatica, molto diretta e decisa.
Dopo le lunghe pratiche di riconoscimento a Ellis Island, Francesco e Pietro si spostarono con il treno a Chicago e il cugino lo guidò fino al suo ufficio su Madison Street, dove si misero d’accordo su quasi tutte le questioni più importanti circa l’avvio della nuova attività. Nonostante si conoscessero appena, entrarono subito in sintonia.
Cominciarono quindi a discutere del nome dell’azienda. Pensarono di usare i loro nomi di battesimo ma gli Italiani in quel periodo non erano ben visti e alla fine, optarono per un acronimo: F&P. Sembrava ad entrambi un nome abbastanza interessante per catturare l’attenzione di chi si trovasse a leggerlo in un manifesto pubblicitario.
Con il passare dei mesi, l’azienda cominciò a riscuotere un discreto successo. Pietro trascorreva le sue giornate in bottega, lavorando giorno e notte senza sosta alla creazione dei modelli e alla realizzazione degli abiti. Francesco, invece, si occupava degli aspetti finanziari e soprattutto dei contatti con i fornitori, per scegliere i tessuti più belli e innovativi.
Un pomeriggio, Francesco arrivò in bottega, esclamando: «Pietro, ci serve qualcosa di nuovo, qualcosa che ci distingua da tutti gli altri, un simbolo, un’icona, qualcosa che sia solo nostro…».
Pietro si mise subito al lavoro e trascorse tutta la notte pensando a qualcosa di originale da proporre al cugino. Ripensò alla sua infanzia, ai racconti del padre e della madre, ai nonni che non aveva conosciuto. Provò a scavare fra i ricordi cercando qualcosa di interessante, di particolare che potesse rappresentare la sua storia, la sua famiglia.
Si ricordò, quindi, dei pomeriggi trascorsi passeggiando con la madre e il padre e dei loro racconti sui Bagni e il Casinò di San Giuliano. Immaginò quel nonno che non aveva conosciuto e la cui triste storia lo avviliva enormemente. Casinò, gioco, carte… quadri, fiori, picche…ci sono!, pensò Pietro tra sé e sé.
Trascorse tutta la notte a cucire e ricamare bottoni in tessuto e motivi con i simboli delle carte finché l’indomani Francesco non lo ritrovò a dormire ancora sul tavolo.
Il lancio della nuova linea di abiti della F&P fu un vero successo. In tutta Chicago non si faceva altro che parlare dei poker clothes come li chiamavano da quelle parti e presto si sparse la voce che due cugini italiani avevano cominciato a creare abiti unici che non si erano mai visti prima.
Un giorno, entrò in negozio una bella e giovane ragazza; aveva i capelli biondi e lunghi, gli occhi celesti. Si chiamava Giovanna, anche lei aveva la passione per il cucito e le piaceva indossare vestiti alla moda.
La donna chiese a Pietro di confezionarle un nuovo abito. I due si sedettero al tavolino in noce che si trovava accanto al bancone: Pietro prendeva appunti, attento a non perdere nessun dettaglio per realizzare l’abito nella maniera più fedele e cercando di accogliere tutte le richieste di quella cliente così affascinante e bella; Giovanna, da parte sua, non riusciva a distogliere lo sguardo da quel giovane ragazzo così serio e concentrato, completamente immerso nel suo lavoro.
Non appena ebbero terminato di discutere tutti i dettagli, si salutarono e Giovanna si congedò, sicura che l’abito sarebbe stato perfetto e anche del fatto che con Pietro si sarebbero rivisti ancora molte altre volte.