L'incontro sarà trasmesso in diretta sul sito di Archvissima, e sulla pagina YouTube e Facebook del festival.

Evento in collaborazione con Re-Framing Home Movies.

>>> In occasione di Archivissima Re-framing Home Movies rende visibili gratuitamente su Vimeo quattro film che sono il risultato di quattro diverse residenze artistiche in archivio.

LA FAMIGLIA, LA PATRIA, di Alberto Diana
Immagini: Archivio Cinescatti/Lab80 - Fondo Giovan Battista Scaroni
Formato originale 9,5mm - 1934/1938
Giovanni Battista Scaroni, direttore delle GIL di Vicenza nonché proprietario terriero nella Tripolitania, era un cineamatore. Il film esplora il materiale di Scaroni, girato tra il 1934 e il 1938: momenti familiari, gite fuori porta, ma anche viaggi nella Libia coloniale e raduni giovanili dei Balilla. Uno spaccato del regime nel suo apice, dove anche il cinema di famiglia svela un certo afflato propagandistico.

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LA STATUA, di Giulia Savorani
Materiale d’archivio audio e video proveniente da: Archivio Superottimisti, Associazione Museo Nazionale del Cinema.

Testo liberamente tratto da La Statua di Aldo Braibanti
Aiuto regia: Francesco Martinazzo
Ha collaborato ai Costumi: Deborah Raineri
Ha contribuito alla realizzazione: Hellebrina Erbe & C.
Villa Faraldi (IM), 2017

Attori
La statua: Thomas Buysens / Un ubriaco: Vincenzo Pennella / Un ubriaco: Jacopo Belloni / Una cortigiana: Silvia Ribero / Una cortigiana: Angie Rottensteiner / Un marinaio: Pietro Sarasso / Un marinaio: Francesco Martinazzo

La statua è un testo giovanile di Aldo Braibanti. Questo film ne è l’interpretazione. In riva al mare due cortigiane ritrovano una statua. Decidono di portarla in paese per farla diventare un monumento che rappresenti gli ideali della comunità che vogliono imporre agli altri cittadini.
L’azione si svolge in un momento fuori dal tempo, come un discorso che si può fare solo a queste condizioni e che dopo non potrà che restare sopito sotto il sistema assodato e lasciato alla capacità di ognuno di dissimulare le proprie preferenze di vita, sessuali o semplicemente di felicità. La diatriba si risolve con la distruzione della statua: la frantumazione dell’immagine. L’azione si ripete, così come ogni gesto è stato compiuto già infinite volte. Controllo e vitalità esuberante, Apollineo e Dionisiaco, in un racconto paradodistico dalla struttura ciclica e non narrativa. Una struttura circolare che si ripete come si ripete la storia di una statua che prende vita, così si ripetono i nostri gesti, le immagini di giardini, vacanze, pranzi e feste e i conflitti sociali ripresi dai cineamatori.

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UN MODO DI SORRIDERE INSOLITO, di Veronica Orrù
Archivio: Cineteca Sarda/Società Umanitaria - Fondo: Paolo Boero, 1954-1965

Un modo di sorridere insolito è una rielaborazione in video dei film della famiglia Boero, girati in 8mm tra gli anni Cinquanta e Sessanta. Il fondo Boero è un esempio perfetto di cinema di famiglia: a filmare è il padre di quattro bambini, scomparso prematuramente quando loro erano ancora piccoli, e perciò i filmati assumono un significato più profondo: sono la testimonianza di qualcosa che senza il formato ridotto esisterebbe solo sotto forma di ricordo sfuocato. Paolo Boero, lontano da pretese cinematografiche (ma comunque abile nella ripresa) e chiaramente interessato alla pratica filmica solo in funzione della scrittura di ricordi, oltre a riprendere viaggi, scampagnate e momenti di svago con una purezza eccezionale, cede spesso la cinepresa alle donne della famiglia e si fa riprendere con i figli, si inchina alla loro altezza per entrare nell’inquadratura e gioca con essi, spezzando l’idea tipica di quegli anni del padre come persona distaccata e autoritaria. Un modo di sorridere insolito è dunque una riflessione sul ruolo della figura paterna e sul potere degli home movies di lasciare traccia degli affetti anche oltre la morte dei suoi protagonisti. A partire da una suggestione letteraria, Lettera al padre di Franz Kafka, giungo a un dialogo tra le immagini d’archivio e la mia esperienza personale, analizzandone il rapporto e le inevitabili associazioni, fino anche a smascherare la finzione di un cinema che comprende sempre quasi esclusivamente momenti felici.

Il montaggio è scandito da musiche composte appositamente da Alessandro Giustiniano. Il progetto, grazie anche al supporto di Simonetta Fadda, docente di Metodologie didattiche dei linguaggi audiovisivi all’Accademia di Brera, si configura come esperimento pratico che accompagna una ricerca più ampia sul valore del cinema di famiglia dalla pellicola al video.

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I FIORI BLU, di Guglielmo Trupia
Archivio Cinescatti/Lab80 Film - Fondo Antonio Bergamoni (anni '50 - '60)

«Secondo un celebre apologo cinese, Xhuang-tsè sogna di essere una farfalla; ma chi dice che non sia la farfalla a sognare d’essere Chuang- tzè?»
da I fiori blu di Raymond Queneau

Antonio Bergamoni ha filmato, assemblato e sonorizzato, nove bobine 8mm tra gli anni ‘50 e ‘60. Una di queste, completamente muta, non è stata riconosciuta dagli eredi e rimane tutt’ora senza identità.
Mi sono di fatto trovato a lavorare su due famiglie racchiuse in unico fondo filmico. Bergamoni nei suoi film descrive minuziosamente i luoghi rappresentati, identifica i numerosi familiari e sperimenta con i mezzi audiovisivi dell'epoca; un’ annotazione continua, libera e spensierata della vita che scorre.

Gli eredi dell’archivio, le due figlie Antonia e Rosa, hanno ulteriormente contribuito a contestualizzare le immagini e a nutrirle di memoria; ma quando si sono imbattute nelle sequenze della bobina orfana, un corto circuito le ha quasi costrette ad associarle ai loro ricordi ed esperienze, insistentemente, fino a quando l’evidenza è stata troppo forte e hanno ceduto:
“Io queste persone non le conosco”. La bobina orfana, della durata di 25 minuti, ingabbia un piccolo nucleo familiare di sole tre persone di cui non si sa nulla. Non vi sono infatti indizi chiari che indichino i luoghi, l’anno o quale sia il legame esatto con il fondo Bergamoni. Degli spettri impressi su celluloide.
Vorrei interrogare queste immagini attraverso un approccio immaginifico e onirico, partendo da una problematica concreta: la presenza di questo tipo pellicole in alcuni fondi di famiglia, costringe chi le guarda a ipotizzare possibili connessioni, storie o ambientazioni. Il confine tra documentazione, ricordo, supposizione; la proiezione di un immaginario personale verso qualcosa di sconosciuto e apparentemente slegato dalle nostre esperienze sono gli aspetti che più mi interessano. Il film sarà il tentativo di rappresentare la fragilità della memoria e dei sogni, mostrerà le due famiglie alla ricerca di un continuo dialogo iconografico e di messa in scena. Un tentativo di comunicazione e sintonizzazione al di là dello spazio fisico e filmico, fino a rischiare entrambe di perdersi; di coesistere in un tempo non più lineare e cronologico, ma circolare.

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"Il trillo del Diavolo". Documenti dall'archivio di Stato di Varese

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