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Il cinema dei ricordi. Una storia come tante ma diversa nella sua unicità.

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Archivio Storico Comunale Sant'Antioco
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La storia, ambientata negli anni ‘60 del secolo scorso, descrive, tra fatti storici e di pura fantasia, la vita tranquilla di una ragazza di paese che, ad un certo punto, verrà stravolta da un evento imprevedibile, il quale fungerà, però, da raccordo tra il passato e il futuro. (Sardu: Su contu est de is annus sessanta, de su sèculu passau, contat contus verdaderus e inbentaus. Contat de sa vida de una picioca de una bidda chi, de suncunas s’agatat cun un’esistènzia strumbullada po nexi de una cosa spantosa chi dd’at a contessi. Custa cosa noa at a poni impari su tempus passau e su benidori.) (English: The story, set in the Sixties of the last century, describes amidst historical events and pure fantasy the quiet life of a country girl. At a certain point, her life will be tested by an unforeseeable event, which will join her past and her future.)

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Il cinema dei ricordi.
Una storia come tante ma diversa nella sua unicità.

 


Marta A., Giorgia C., Aurora C., Melania C., Aurora C., Edoardo C., Francesco D.M., Erika
M. D., Eleonora F., Giuseppe G., Vittoria G., Elena O., Alice P., Isabelle R., Simone S., Thomas U., Eleonora V.

La storia, ambientata negli anni ‘60 del secolo scorso, descrive, tra fatti storici e di pura fantasia, la vita tranquilla di una ragazza di paese che, ad un certo punto, verrà stravolta da un evento imprevedibile, il quale fungerà, però, da raccordo tra il passato e il futuro.

(Sardu: Su contu est de is annus sessanta, de su sèculu passau, contat contus verdaderus e inbentaus. Contat de sa vida de una picioca de una bidda chi, de suncunas s’agatat cun un’esistènzia strumbullada po nexi de una cosa spantosa chi dd’at a contessi. Custa cosa noa at a poni impari su tempus passau e su benidori.)
(English: The story, set in the Sixties of the last century, describes amidst historical events and pure fantasy the quiet life of a country girl. At a certain point, her life will be tested by an unforeseeable event, which will join her past and her future.)

 

Francesca, una graziosa e solare bambina di sette anni, come da sua abitudine, il sabato sera andava al cinema in compagnia di suo nonno Armando, un uomo dedito al lavoro di settantatre anni, ex militare della prima e seconda guerra mondiale, un uomo generoso e onesto con le persone.
I due passeggiavano insieme verso il solito tabacchino del corso di Sant’Antioco (la loro terra natale, ovvero un’isoletta del sud Sardegna) per comprare il tabacco e le cartine con cui il nonno si faceva le sigarette.
Cicita, così come la bambina veniva chiamata in famiglia, amava trascorrere il tempo in compagnia del nonno e ammirare con lui il meraviglioso paesaggio del loro paese; amava l’odore del mare e il dolce suono delle onde che si scontravano contro i muretti del lungomare, ricoperti dalle reti dei pescatori.
I due camminavano lentamente, quasi per gustare meglio quella passeggiata ed assaporare ogni attimo trascorso insieme, che li avrebbe condotti dal lungomare, risalendo la stradina, direttamente sul corso Vittorio Emanuele. Dal corso al teatro il tragitto era breve. I due, una volta giunti di fronte alla struttura, entravano dalla porta che conduceva direttamente alla sala
principale, in fondo alla quale vi era un piccolo palcoscenico in legname ben costruito. Ai lati del vestibolo due scalette, rese sicure dalle ringhiere, conducevano alla galleria sorretta da diverse colonne di ghisa. All’epoca, potevano godere dello spettacolo in tutto circa cinquecento avventori.
Il Savoia risultava sempre ben arieggiato grazie alle tre finestre da cui filtrava, nelle ore diurne, la luce naturale, oppure grazie al tetto apribile che procurava sempre un grande stupore nell’espressione di chi lo vedeva azionarsi. Il cine-teatro, infatti, era noto a quei tempi anche per questa sua caratteristica, che lo rendeva unico in tutto il territorio italiano. Francesca e nonno Armando godevano di un’ottima visuale, grazie ai posti a lui riservati, segno di rispetto che la società aveva nei suoi confronti. I loro posti erano sempre il 3D e il 3E. Dalla platea, la bambina si divertiva a fotografare con i suoi occhietti azzurri tutta la sala che si affollava, osservando le ombre delle persone proiettate per terra grazie al lampadario a cinque fiamme e grazie alle lampade presenti sulle pareti. Tra le panche in legno, disposte sui due lati, si formava una sorta di corsia che garantiva la sicurezza. Francesca seduta sul lato corridoio, agitava impazientemente le sue gambette che non toccavano bene a terra.
C’era chi chiacchierava rumorosamente, chi sgranocchiava dei semi di zucca, chi fumava e chi aspettava, come lei, l’inizio dello spettacolo.
Le serate, i sabati, si concludevano tranquillamente e, come sempre, con i vestiti impregnati di puzza di fumo, il gusto dei semi di zucca sulle labbra e, talvolta, con il viso arrossato, dovuto a qualche lacrima versata. Le settimane terminavano quasi sempre con la stessa piacevole routine.
A causa, però, dei problemi di salute riscontrati al nonno, quegli incontri erano destinati a cambiare di frequenza, pertanto si diradarono.
Una mattina, infatti, Cicita, trovando sua madre in lacrime, capì che il motivo poteva essere collegato solo alla salute del suo nonno. Correndo a perdifiato per tutto il corso fino a piazza Umberto, dove si trovava la casa del nonno, una volta varcata la soglia e spalancata la porta della camera da letto, la sorpresa si rivelò amara. Lì giaceva la sagoma di nonno Armando, priva di vita. Francesca provò invano a svegliarlo, ma tutto si rivelò inutile. La realtà era dura da accettare.
Trascorsero ben sei lunghi anni da quell’episodio luttuoso, che aveva segnato così intensamente l’anima e la vita della ragazza; Cicita non era più una bambina ma una tredicenne in cerca della propria identità, che dava una grande importanza alle relazioni di amicizia.
Era diventata una signorina, aveva iniziato a truccarsi con i trucchi di sua madre e ad indossare le minigonne di nascosto. Caratterialmente era timida e modesta, ma, in base alle situazioni, si dimostrava sicura di sé, sostenendo i propri ideali con tenacia. Era maturata. Osservava la vita, ora, da una prospettiva diversa.
La morte del nonno l’aveva certamente segnata, ma non solo da un punto di vista negativo. Si portava appresso un bagaglio emotivo-culturale che la rendeva sicura delle sue radici e forte dagli insegnamenti che il nonno le aveva impartito.
Le piaceva leggere, ascoltare le canzoni di Gianni Morandi (per mezzo di un giradischi o della radio), di cui ritagliava le immagini prese da qualche giornale, per poi incollarle sul suo diario segreto del cuore. Lo stesso Savoia ospitò il cantante per un suo concerto.
Francesca non aveva perso del tutto l’abitudine di recarsi al teatro e grazie al concerto del suo beniamino riprese a frequentarlo con più regolarità. Si presentava, come ai vecchi tempi, all’ingresso principale; prima di entrare faceva un gran sospiro e passo dopo passo si dirigeva verso la sua poltroncina di legno, alla quale si era tanto affezionata. Era ritornata ad essere per lei una pratica irrinunciabile, una tradizione viva da voler custodire e che la faceva sentire così tanto vicina al nonno e che presto le avrebbe regalato una ventata di novità.
L’ultimo sabato del mese di marzo, del 1968, Francesca si incamminò verso il Savoia. Apparentemente, quella sera sembrava una delle tante sere: varcò la soglia di ingresso, prese posto, attese che il film iniziasse. In programmazione c’era "Tutte le ore feriscono… l’ultima uccide", un film di Jean-Pierre Melville. Ma, ad un tratto la sua attenzione fu rapita dall’ingresso in sala di un ragazzo mai visto prima (probabilmente neppure sardo), il quale aveva preso posto nella fila opposta alla sua poltroncina, sull’altro lato; non sedeva né troppo vicino né troppo lontano da impedire che i due si scambiassero sguardi e sorrisi fugaci.
Francesca era come rapita da quello sconosciuto ma dall’aspetto per così dire familiare. A furia di guardarlo, ne era certa: il suo sorriso, i suoi modi gentili, l’altezza e quel tono di voce pacato, le ricordavano il nonno.
Finito il film, dunque, e preso coraggio, decise di mettere da parte la timidezza e di farsi avanti. Si presentò e i due iniziarono a conversare. Il suo nome era Antonio, era nato a Sant’Antioco ma abitava da tempo nel nord Italia. Il giovane, ogni tre mesi circa, sbarcava in Sardegna, la sua terra d’origine, per fare visita ai parenti. Le ore trascorse a chiacchierare volarono tra racconti e aneddoti; i due, anche se per motivazioni differenti, si sentirono subito legati dalla forte passione per il cinema, che li accomunava.
Giunto il momento del congedo, Antonio rivelò di dover ripartire all’alba dell'indomani e Francesca, augurandogli un buon viaggio, gli strappò la promessa di rivedersi presto per poter approfondire quella che sarebbe di certo diventata una bella amicizia, o forse qualcosa di più. A causa di quell’addio, la ragazza, amante del cinema, provò una velata tristezza ma era consapevole che presto avrebbe rincontrato quel giovane che l’aveva resa così felice.

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