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PUGLIA TEATRO Tutta la Storia

La storia della nascita e dei contenuti dell'Archivio e dei suoi tre fondi: Rino Bizzarro, Puglia Teatro, L'Eccezione di Puglia Teatro; che raccontano anche la nascita delle prime cooperative teatrali in Puglia, e della nascita del professionismo in questa regione, ad opera dei primi operatori che fecero la scelta di restare in Puglia, a Bari, e di non emigrare più per fare il lavoro del teatro a livello professionale. Puglia Teatro è una di quelle compagnie pionieristiche.

Genesi d’Archivio

Incontrai Rino Bizzarro nel corso di una riunione di lavoro, alla quale avevo partecipato in qualità di ispettore degli archivi e nel corso della quale ebbi modo di parlare dell’attività di tutela che la Soprintendenza archivistica per la Puglia (ora della Puglia e della Basilicata) intendeva portare avanti nel settore degli archivi teatrali; Bizzarro condivise subito l’idea di sottoporre a tutela il proprio archivio e quello di Puglia Teatro, nonché dell’Eccezione di Puglia Teatro, credendo fermamente nell’idea di possedere un bene culturale degno di essere valorizzato; mi invitò a effettuare un sopralluogo presso il suo archivio per accertarne l’interesse; di questo relazionai puntualmente al Soprintendente e una volta verificatone da parte della Soprintendenza archivistica l’interesse storico particolarmente importante, il Ministero per i beni e le attività culturali (ora dei beni e delle attività culturali e del turismo) ha emesso su di esso il 17 aprile 2007 la Dichiarazione di interesse storico. La priorità che spetta a questo archivio – perché di priorità rispetto agli altri archivi teatrali pugliesi si può parlare, in riferimento all’esercizio della tutela e della valorizzazione – è senz’altro da attribuire al complesso documentario di cui consta, tre distinti “fondi” (per adottare un linguaggio tecnico che fa riferimento ai diversi soggetti produttori): il fondo “Rino Bizzarro”, il fondo “Puglia Teatro” e il fondo “L’Eccezione di Puglia Teatro”, fondi dei quali tornerò a parlare e il cui denominatore comune, la cui anima è sempre Rino Bizzarro. Tale priorità, tuttavia, è anche da attribuire allo spessore culturale di Bizzarro – la cui portata emergerà nel corso di queste brevi note – che è stata determinante per avviare quella proficua collaborazione auspicata dal Codice dei beni culturali e del paesaggio tra lo Stato e i privati detentori e conservatori dei beni culturali. Rino Bizzarro, oltre ad aver prodotto l’archivio nelle sue tre componenti, ne è anche l’attuale conservatore. Per incominciare a capire che cosa contiene il complesso documentario di Puglia Teatro occorre descrivere i tre “produttori” dei rispettivi fondi (distinzione riscontrabile più sulla carta di quanto non lo sia nei documenti) con l’avvertenza che tutto quanto contenuto nella loro descrizione si riflette nell’archivio, si è sedimentato nelle singole serie, si è tradotto in singoli documenti, ha lasciato traccia in copioni, manifesti e locandine, fotografie, audio e videocassette, rassegna stampa, eccetera. E’ opportuno, dunque, prendere le mosse dal curriculum di Rino Bizzarro. Rino Bizzarro: autore, regista, attore di teatro lavora nella Compagnia Puglia Teatro di Bari dopo essere stato con altre compagnie primarie di giro in tutti i più importanti teatri d'Italia e all'estero. Ha incominciato con gruppi dilettantistici già sui banchi di scuola; poi con l'Università è approdato al Centro Universitario Teatrale di Bari, fucina di talenti fra il 1965 e il 1970, anno quest'ultimo in cui egli matura la scelta dell'emigrazione e viene scritturato dalla Compagnia Teatro Insieme di Roma, con cui lavora ne "I tre Moschettieri" di Roger Planchon da Dumas e ne "I nuovi pagani" di Nicola Saponaro. All’impegno presso il Centro Attori di Milano, segue il rientro a Bari per l'operazione "Bari Teatro", ultimo tentativo in ordine di tempo dell'Amministrazione comunale di Bari di dare vita ad un Teatro stabile regionale. Con la fine di "Bari Teatro" tra le due vie possibili: il ritorno all'emigrazione oppure il tentativo di avviare in loco le prime esperienze di teatro professionistico Bizzarro sceglie quest'ultima via, dando vita ad una sua Compagnia, Puglia Teatro. Alla Compagnia Puglia Teatro si deve, fra le tante altre cose, la prima riproposta teatrale di Don Pancrazio Cucuzziello, la maschera teatrale pugliese derivante dalla Commedia dell'Arte, dimenticata fra le pieghe del teatro napoletano dell'800, dove essa ebbe un enorme successo accanto al Pulcinella di Antonio Petito. Su questa maschera Rino Bizzarro ha scritto, assieme a Daniele Giancane, "Don Pancrazio Cucuzziello: Per un teatro popolare nella scuola dell'obbligo" (1979) ed "É di scena Don Pancrazio Cucuzziello" (1983), libri per diversi anni adottati dall'Università di Bari. Per il teatro Bizzarro ha scritto una trentina di testi, molti dei quali rappresentati in Puglia e fuori, fino ad arrivare a Bruxelles, invitato dalla CEE a rappresentare la Puglia teatrale. Del 1990 è il libro "Il Sottano: Un Caffè e una cultura sparita", sul mitico Caffè/Galleria della Bari degli anni '40 e '50. Alcuni suoi lavori sono stati tradotti in diverse lingue; ancora del 1990 è la raccolta di poesie "Specchio deformante", tradotta dal giornalista Dragan Mraovic e pubblicata nella ex Jugoslavia dalla Casa Editrice Gràdina di Nìs. Ha lavorato per sedici anni per la Rai scrivendo, dirigendo e partecipando ad una lunga serie di sceneggiati radiofonici (una cinquantina) e programmi culturali, alcuni dei quali trasmessi anche all'estero. Ha pubblicato dodici libri di poesia. Ha collaborato e collabora a numerosi giornali e riviste; è comparso in molte antologie e saggi critici fra gli autori della Quinta Generazione. Fra le sue numerosissime interpretazioni come attore ricordiamo il soldato Bekman in "Fuori della porta" di Wolfgang Borchert, Pinocchio in uno sceneggiato radiofonico prodotto dalla Rai, il Signore dal pastrano verde in "Musica di foglie morte" di Rosso di San Secondo, Pulcinella nella omonima commedia di Luigi Chiarelli, il Conte Gerardo di Gersy in "Fuochi d'artificio" ancora di Luigi Chiarelli con la Compagnia di prosa della terza edizione del Festival della Valle D'Itria e tante altre, oltre alla maschera di Don Pancrazio Cucuzziello i cui panni ha vestito per circa vent'anni. Queste, invece, le notizie relative agli altri “produttori” d’archivio che qui interessano, Puglia Teatro e L’Eccezione di Puglia Teatro: Puglia Teatro è un gruppo storico del teatro pugliese fondato nei primi anni Settanta del Novecento da alcuni rappresentanti della cultura teatrale regionale, tra cui Clodomiro (in arte Rino) Bizzarro che ha portato avanti ininterrottamente l'attività della Cooperativa (1975 - 2011), parallelamente alla sua attività personale di attore e poeta. Nel 2011 Puglia Teatro si è trasformata in Associazione di cultura e spettacolo.
Con la Compagnia Puglia Teatro hanno collaborato nel tempo attori, registi, autori, ricercatori, maestranze di primo piano, pugliesi e non. Nell'ambito dell'attività della Compagnia e di Rino Bizzarro, in particolare, assume particolare rilievo il recupero di maschere tradizionali, la scrittura di testi teatrali e la collaborazione con la cattedra di Letteratura per l'infanzia dell'Università degli Studi Aldo Moro di Bari. Dall'anno 2002, inoltre, l'attività della Compagnia si è svolta presso l'Associazione "L'Eccezione di Puglia Teatro", sua attuale sede operativa teatrale e culturale. L'Eccezione è un centro culturale multifunzionale che svolge una sua attività variegata in un quartiere difficile (ma generoso) di Bari, mantenendo dichiaratamente e deliberatamente un livello culturale molto alto delle proposte, con gli evidenti, notevoli sforzi organizzativi che questa scelta comporta. L'Associazione accoglie buona parte della programmazione di Puglia Teatro; riesce a svolgere un'attività che rappresenta un'eccezione appunto nel modo di fare teatro e spettacolo, senza avere a disposizione grandi spazi e mega-contenitori, né grandi finanziamenti pubblici, ma facendo affidamento sulla determinazione, l'impegno ed anche il talento di tutti quelli che partecipano alla realizzazione della stagione, senza tradire le aspettative di un pubblico sempre più numeroso e motivato, che dimostra di gradire le proposte culturali di Puglia Teatro a L'Eccezione. Per quanto concerne, poi, il complesso archivistico, in un recente articolo proprio sull’archivio di Puglia Teatro – apparso in un numero monografico, dedicato al teatro in Puglia, della rivista <<La Vallisa>> – sostenevo: <<... occorre precisare che si potrà dar conto dell’articolazione interna di quelle che con linguaggio tecnico chiamiamo “serie” d’archivio, e forse scendere più in dettaglio ad analizzarne le singole unità archivistiche, solo quando saranno ultimati i lavori di riordinamento dell’Archivio teatrale di cui si è parlato fin qui, ma non si può tacere che già ascoltare presso la sede de L’Eccezione (in anteprima rispetto a uno dei risultati cui si perverrà a conclusione dei lavori) la registrazione di “Salone Margherita”, sceneggiato realizzato negli anni ’70 del secolo scorso per la Rai Radio 3, a cui Rino Bizzarro ha partecipato come autore ed attore, è stato emozionante per quanti, me compresa, hanno partecipato all’incontro>>. Ora i lavori di riordinamento sono terminati e si può senz’altro dar conto dell’articolazione interna dell’archivio di Puglia Teatro, del concatenamento delle serie che raccontano una storia lunga mezzo secolo, si puòfornire ai ricercatori una “bussola” che collocata in questo corpus li aiuti a rintracciare i documenti. Chi può infatti negare che la fotografia di uno spettacolo, opportunamente schedata – con il nome del fotografo, il soggetto rappresentato, l’indicazione del momento dello scatto, la data, la descrizione estrinseca, le eventuali annotazioni – non rinvii al relativo manifesto, al copione dello stesso spettacolo, al materiale pubblicitario, all’audiovisivo, alla coeva rassegna stampa conservati in archivio? Chi può negare, d’altra parte, che lo studioso che si accinga a consultare un determinato complesso documentario non abbia già idea della tipologia di documentazione che vi troverà e che non si muova anch’egli con la sua “bussola” per effettuare una determinata ricerca? E’ il caso dunque di analizzare l’archivio di Puglia Teatro, conservato a Bari, nel quartiere Libertà, presso la sede de “L’Eccezione di Puglia Teatro”, al primo piano di un palazzo di civili abitazioni. All’interno dell’archivio-luogo fisico di conservazione la documentazione si presenta senza soluzione di continuità, disposta su scaffali e condizionata in faldoni su cui è apposta una “segnatura” che comprende il numero di corda della singola unità di condizionamento (la busta o cartella o faldone, che dir si voglia), l’indicazione della parte dell’archivio contenutavi (la serie o spezzone di serie), gli estremi cronologici e il numero complessivo delle unità rientranti in quella determinata parte. Queste le tipologie documentarie rinvenibili: copioni, materiale pubblicitario, fotografie, manifesti, rassegna stampa, audiovisivi. Il criterio seguito nel corso dell’ordinamento e dell’inventariazione della documentazione è stato incentrato sul rispetto della struttura del fondo, pur tenendo conto della tipologia della documentazione: i copioni, per fare solo un esempio, pur se logicamente riconducibili a uno dei tre “fondi” di cui si è detto, e ulteriormente aggregati per rami di attività,sono stati collocati in sequenza fisica senza soluzione di continuità. E’ possibile in questo modo ritrovare tutti insieme i copioni e averne al contempo la descrizione logica, che fa riferimento alle partizioni interne, nell’inventario. Lo stesso dicasi per le altre tipologie documentarie prodotte e conservate. Desidero soffermarmi ora brevemente su un particolare tipo di documentazione: gli audiovisivi teatrali. Occorre prima di ogni altra cosa partire dal presupposto che “il concetto di documento si è andato sempre più ampliando nel corso del ‘900, comprendendo oltre al documento scritto, il documento illustrato, trasmesso mediante il suono, l’immagine, o in qualsiasi altro modo, fino ad arrivare ad una vera e propria rivoluzione documentaria quantitativa e qualitativa, che grazie anche alla parallela rivoluzione tecnologica, ha consentito una dilatazione della memoria storica”. Ma perché si possa parlare di documento, in riferimento agli audiovisivi, occorre che questa “rappresentazione memorizzata su un supporto <venga> conservata da una persona fisica o giuridica nell’esercizio delle sue funzioni (prodotta o acquisita) e <che sia la testimonianza> di un atto/fatto rilevante per lo svolgimento di tale attività”. L’affidabilità dei documenti è strettamente legata all’attendibilità del sistema che li produce e mantiene.La verificabilità di tali condizioni è l’aspetto centrale della conservazione. Diventa, perciò, importante il momento di trasmissione del documento, che deve rispettare il contesto amministrativo e documentario della sua formazione. Una delle caratteristiche dei documenti audiovisivi risiede nel fatto che la loro conservazione è finalizzata a un riutilizzo, alla produzione di nuovi prodotti audiovisivi: la conservazione, cioè, coincide con la valorizzazione. I problemi che si pongono in ordine alla schedatura dei documenti audiovisivi riguardano principalmente due aspetti: la schedatura del contenuto e la questione della relazione, del vincolo di un documento audiovisivo con il suo contesto produttivo, ovvero con altre tipologie documentarie. Intanto occorre precisare che gli audiovisivi di cui qui si parla registrano un prodotto finito, riprendono cioè lo spettacolo quale esito di un processo di lavoro ormai concluso.Come è stato autorevolmente affermato: “Il problema audiovisivo nei confronti della rappresentazione teatrale è dunque anche un altro: non avere un testo che preesiste, ma un testo che consiste nel suo prodursi... la riproduzione filmata dello spettacolo teatrale rappresenta un’altra forma possibile dello spettacolo dal vivo”: due tecniche in un solo prodotto. Questo aspetto pone problemi in ordine alla schedatura e presuppone la collaborazione con altre figure professionali che, in questi come in casi analoghi, si affianchino agli archivisti. Lo stesso discorso circa la complessità della descrizione e la non univocità del linguaggio descrittivo, infatti, potrebbe farsi per quanto concerne le locandine e i manifesti teatrali o le fotografie, per i quali allo stesso modo occorre tener presenti le norme specifiche di descrizione. E il discorso – applicabile comunque ugualmente ad altre tipologie di archivi, non necessariamente teatrali dunque, per la presenza anche in essi di documentazione del tipo elencato o di altro tipo – potrebbe continuare, ma ci si può limitare agli esempi citati non senza, tuttavia, aver posto un problema in ordine alla mediazione esercitata dalla descrizione. Sono ormai pienamente recepite nel mondo scientifico norme di descrizione internazionale che, accanto ai software o alle piattaforme che le accolgono, forniscono tracciati da seguire, ma non si tratta che di una virtualità del documento. E’ un gioco di rimando tra descrizione e oggetto della descrizione: il documento. Prenderò a prestito, per concludere l’argomento, una frase che Savarese usa in un altro contesto: “Ma è noto - egli dice – la riproduzione porta ad un livellamento dell’esperienza estetica”; ecco perché, come si diceva, occorre descrivere i documenti partendo dal contesto di produzione e farne emergere il vincolo che li lega al complesso documentario. Sono questi i presupposti, di cui la Soprintendenza archivistica ha tenuto ovviamente conto nel promuovere la valorizzazione dell’Archivio di Puglia Teatro e nel coordinare dal punto di vista tecnico-scientifico i lavori di ordinamento, inventariazione e digitalizzazione effettuati da operatori esterni negli anni dal 2009
al 2015, grazie anche ai contributi ministeriali. E’ il caso ora di menzionare e di ringraziare gli operatori che, affiancati da Rino Bizzarro – essendo quest’ultimo, per ovvie ragioni, il miglior conoscitore dell’archivio di cui si tratta –hanno schedato e digitalizzato una parte della documentazione, in particolare Rosanna D’Angella che ha schedato i copioni, Alliana Bozzi che ha schedato gli audiovisivi e la ditta EidoLab di Bari che li ha digitalizzati, contestualizzandoli con i necessari “metadati”. E’ il caso, inoltre, di ricordare che la schedatura analitica degli audiovisivi di Puglia Teatro, corredata di una breve sequenza del documento audiovisivo digitale – anche in questo caso realizzata dalla ditta EidoLab di Bari – è presente nel Sistema informativo della Soprintendenza archivistica della Puglia e della Basilicata (www.sapuglia.it). In esso, nella pagina dedicata ai documenti digitali, è stata, infatti, creata una sezione per gli “Audiovisivi” e, al suo interno, una sottosezione per gli "Audiovisivi teatrali". La creazione di tali sezioni risale all'anno 2009 quando, su proposta della Soprintendenza archivistica per la Puglia, la Direzione generale per gli archivi finanziava un progetto sugli archivi teatrali pugliesi; l'avvio del progetto ha consentito, tra l'altro, di promuovere e avviare la conoscenza del patrimonio audiovisivo pugliese sia di quello conservato presso gli archivi degli enti teatrali, sia di quello conservato dagli enti che specificamente si occupano del settore degli audiovisivi, teatrali e non, e che erano o sono entrati in un rapporto di collaborazione con i proprietari e conservatori degli archivi teatrali. Il progetto sugli Archivi teatrali pugliesi e la necessità di schedare, tra l'altro, gli audiovisivi ha comportato l'esigenza di creare una apposita scheda che, avvalendosi delle norme nazionali e internazionali di descrizione, tenesse conto di questa specifica tipologia di audiovisivi, gli audiovisivi teatrali appunto. Della predisposizione di un modello di scheda si è fatta carico Alliana Bozzi, libera professionista. L'originalità e il peculiare interesse della scheda dei singoli documenti audiovisivi risiede principalmente nell’ampio abstract discorsivo che descrive lo spettacolo o evento teatrale documentato; dello spettacolo, inoltre, nel citato sito della Soprintendenza archivistica è possibile ascoltare o visionare una breve sequenza. L’Archivio di Puglia Teatro è, altresì, presente nel Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche (SIUSA) che si propone – si legge nella relativa home page – come punto di accesso primario per l'intero patrimonio documentale controllato dalle Soprintendenze archivistiche, e cioè per gli archivi non statali pubblici e privati, conservati fuori degli Archivi di Stato. Nasce come sistema aperto, dal quale e verso il quale è possibile esportare e importare informazioni da e verso altri sistemi. In esso sono descritti: i complessi archivistici con le loro articolazioni; i soggetti (enti, persone e famiglie) che hanno prodotto la documentazione nello svolgimento della loro attività; i soggetti che conservano gli archivi; gli strumenti di ricerca e bibliografici utilizzati per la redazione delle descrizioni. Sono inoltre presenti schede di carattere generale che forniscono informazioni storiche, istituzionali ed archivistiche utili per la comprensione del contesto degli oggetti descritti. Dal SIUSA le informazioni relative a Puglia Teatro (come, d’altronde, quelle di altri enti) sono poi confluite nel Sistema Archivistico Nazionale (SAN), un aggregatore nazionale – come cita, anche in questo caso, la home page – di risorse archivistiche aperto alla partecipazione attiva e alla collaborazione con soggetti pubblici e privati nazionali ed esteri e con organismi internazionali, e realizzato a seguito di una consistente operazione di allineamento dei tracciati dei sistemi informativi archivistici. Veniamo ora alla pubblicazione dell’inventario, con riferimento al libro, quello tradizionale, cartaceo. Nel lontano 1928 Eugenio Casanova nel suo manuale di archivistica sosteneva: “ulteriori lavori archivistici oltre all’inventario e a tutti gli strumenti di ricerca, sono le pubblicazioni di questi medesimi istrumenti per divulgarne il contenuto e agevolare anche in lontananza gli studi dei ricercatori”. Da allora è passato quasi un secolo ed è ormai ampiamente riconosciuta la possibilità di consultazione on line (“in lontananza”) di materiali documentari digitalizzati, ma ne è altrettanto riconosciuta la lettura “frammentata e frammentaria”. Isabella Zanni Rossiello nel suo Gli archivi nella società contemporanea cerca di dare una risposta alla domanda: “è ancora il tempo di andare negli archivi?”; analogamente ci si potrebbe chiedere se sia ancora il tempo di pubblicare gli inventari cartacei. Lungi tuttavia dal porsi problemi in ordine al passaggio dalla “carta ai bit”, forse conviene illustrare le peculiarità di questa pubblicazione. Essa risponde all’esigenza di far conoscere il contenuto dell’archivio e dei suoi nessi, ma anche di fornire quelle ulteriori notizie utili a contestualizzarlo, quali quelle – di cui si diceva prima – relative al produttore, al conservatore, o quelle necessarie all’inquadramento dell’archivio nel momento storico e politico- culturale della sua produzione, in ciò anche con il contributo di specialisti e teorici – ed è questo il caso – del teatro. Il libro affida, inoltre, alle immagini l’esperienza che potrebbe fare il visitatore dell’archivio e si dota di quel paratesto che solo può parlarci del suo autore: la copertina, il titolo esterno, le epigrafi, la prefazione che precede il testo, i titoli interni. L’inventario che si pubblica rispecchia abbastanza fedelmente l’ordinamento e la schedatura effettuata in questa fase di lavoro; non ha subito ulteriori interventi per scelta dell’autore. Egli, infatti, ha voluto porgere così al lettore un prodotto di lavoro che, sebbene condotto, fin dalla schedatura per l’ordinamento, nel rispetto delle norme di descrizione archivistica suggerisse un’idea di immediatezza, l’idea di un lavoro in corso, come si può evincere anche dalla presenza di alcuni “bis” nei numeri delle unità, volutamente non corretti nella sequenza e che comunque nulla tolgono alla reperibilità della documentazione. Concludo con una citazione a sproposito, con una incursione in Esperia – il libro di Graziano Graziani che qualche tempo fa abbiamo presentato presso la sede dell’allora Soprintendenza archivistica per la Puglia – sollecitata da quella parte in cui si tratta de “L’archivista”. E’ una storia, questa, collocata dall’autore tra le “Storie di confine”. L’archivista è un impiegato del Comune, addetto all’Anagrafe e piuttosto soddisfatto del proprio lavoro, non un lavoro di mente – afferma egli stesso – ma di grande responsabilità; è un impiegato dotato di spirito collaborativo e fortemente legato con un cordone ombelicale alla “Mamministrazione”, a cui è grato perché gli riconosce uno spazio, un incasellamento tutto suo e lo fa sentire importante. Non è un semplice impiegato, è un archivista iniziato quello che parla, forse un po’ folle, ma capace di provare, stringendo tra le mani una pratica, il senso stesso della vita. Egli riesce a trovare poetico anche lo scorrere delle carrucole degli scaffali compatti d’archivio e, prendendo tra le mani una pratica riesce ad attualizzare i fatti di cui tratta al punto da sentire le voci degli incartamenti e da arrivare a soffrire, poi, quando gradualmente le voci si affievoliranno fino al silenzio che lascerà il posto ai dati e ai metadati, e che costringerà l’archivista iniziato a trasformarsi in semplice officiante. Concludo con questa punta di nostalgia che, per altri versi e aspetti della mia professione di Archivista di Stato, condivido.

Maria Pia Pontrelli

 

 

 

 

 

Archiviate ...qualcosa resterà.

Metodologia

La memoria di una società evoluta, in uno stadio qual è quello attuale caratterizzato da spinte di aggregazione-disgregazione sul piano sociale, politico e amministrativo, non può che porsi come “memoria culturale”, come bagaglio remoto, ma non rimosso, di quell’ insieme di accadimenti (politici, sociali, estetici, ideologici) che dal piano delle idee e delle formulazioni teoretiche hanno inciso, sia pure in misure e modi diversificati, sulla vita civile, sui comportamenti, sui gusti e le abitudini, a questo punto “culturali” della gente. La traccia e il senso di tale memoria, nei diversi ambiti e settori delle umane attività, diventa pertanto prezioso patrimonio socialmente utile, da conservare e analizzare criticamente non tanto per il pur doveroso debito-scientifico-critico, quanto perché esso costituisce, di fatto, uno strumento fondamentale e utilissimo per la lettura del presente, per la progettazione ragionata degli interventi futuri, per una programmazione culturale che tenga conto delle esperienze acquisite, della portata quantitativa e qualitativa del “prodotto cultura” nel vasto (oggi forse più contraddittorio) universo sociale. L’ importanza che il teatro e le attività spettacolari in genere, col loro interagire complesso sia culturale che sociale, assumono nel contesto di un territorio, attengono così non solo alla “memoria storica” che gli eventi teatrali lasciano in eredità alle generazioni successive, ma garantiscono un “valore aggiunto”, una ancor più forte valenza politico-culturale ad ogni eventuale lavoro di catalogazione e di archiviazione in questo settore.Vero è, ad onore del vero, che nella tradizione dello spettacolo l’ esigenza della conservazione delle informazioni, cioè della memoria degli eventi spettacolari, si è in passato piuttosto scarsamente avvertita. Questo per il passato remoto, per quello prossimo e, ahimè in buona misura addirittura per il presente o quasi, di ieri o di ierlaltro. Il fatto è che noi unifichiamo sotto un’ unica etichetta, come “sapere teatrale”, un agglomerato di nuclei conoscitivi diversi tra loro, nella maggior parte dei casi agganciati a un’ esperienza pratica, operativa: la messinscena,l’ interpretazione, ecc. Problema molto serio per la elaborazione/invenzione di una “memoria dello spettacolo”. Il posto, il luogo dello spettacolo (il teatro dove accade l’ evento o altro spazio adibito alla bisogna), così come d’ altra parte lo stesso “prodotto” spettacolare, non esauriscono da soli sic et simpliciter il “sapere” del teatro, in quanto questo sapere dovrebbe essere il risultato di una sedimentazione assai più vasta: il testo, la musica ove presente, l’ attore, la scena, la coreografia, la regia, il contenitore (teatro o altro) dove l’ evento accade, ancora la struttura urbana che a sua volta contiene il contenitore, ultimo ma non ultimo, il pubblico. D’ altra parte i meccanismi di trasmissione del sapere teatrale (comprese la recente riproduzione sonora, cinefotografica, televisiva delle immagini) messi in atto nelle epoche passate hanno avuto una reale incidenza sulla quantità/volume del sapere stesso, pur non evitando delle perdite irreversibili. Anche se la estrema lentezza dei movimenti storici nell’ evoluzione delle arti teatrali- anche in relazione alla funzione di conservazione, recupero, e trasmissione delle tecniche e dei contenuti spettacolari e nel rapporto di interscambio con forme di arte popolari- ha fatto sì che possono ritenersi acquisite una serie di informazioni estremamente attendibili sui processi di formazione della spettacolarità. Oggi sembrerebbe che le Banche Dati rendano superflua l’ arte della memoria; eppure gli stimoli che ci si presentano devono invece richiamare un eccezionale impegno per rendere possibile, non soltanto in senso tecnico (l’ informatica rende questo oggi possibile), ma in senso culturale, l’ interconnessione integrale delle conoscenze che si andranno a sviluppare. La conservazione del sapere teatrale ha bisogno di essere studiata e approfondita attraverso tutta una serie di aggiustamenti e tappe di avvicinamento da individuare progressivamente. Diventa così oggi estremamente interessante stabilire quei processi che devono non solo selezionare e delimitare, ma porre in luce le diverse discipline che concorrono alla voce Teatro ed in cui sempre più preminente aspetto e ruolo assumono i mezzi di comunicazione di massa. Anzi questi stessi diventano essi in primis dei canali di trasmissione- informazione, mentre i poderosi aggiornamenti della innovazione tecnologica stimolano a messe a regime vieppiù propositive di tecniche ormai antiche di conservazione e trasmissione del sapere, ma spingono anche, inevitabilmente, verso una radicale re- invenzione di quelle tecniche stesse.“E’ bene che vi siano archivi di tutto, onde li si possa consultare in caso di necessità” afferma Voltaire nelle sue Nuove considerazioni sulla storia. Oggi la necessità è addirittura assoluta, quotidiana , se intendiamo (come noi intendiamo) la conservazione delle informazioni come un processo conoscitivo permanente, che sviluppa informazioni come se fossero presupposti creativi. E’ evidente che occorra un “progetto” che sia proiettato, definire un qualcosa che possiamo chiamare Archivio, Biblioteca, Banca Dati, Centro Documentazione: prima dobbiamo però pervenire a definire una serie di domande cui dare risposte. Ogni teatro, ogni cultura e civiltà teatrale, ha costruito il proprio passato. Ciò non solo per legittimarsi, ma per recuperare la possibilità stessa del “fare teatro”. Preliminare al confronto tra i diversi canali usati da una società per la trasmissione di un sapere sociale, qual è quello del teatro, è la valutazione di un flusso di informazioni che attraverso tali canali viene veicolato. E’ quindi la individuazione delle informazioni, la strutturazione della loro organizzazione, resta il nodo centrale: la conservazione-trasmissione deve diventare tecnica di ricerca. Particolare importanza assume, per esempio, la lettura informatica dell’ edificio Teatro. La lettura resa con i più sofisticati e aggiornati strumenti della comunicazione informatica, terrà conto delle ragioni artistico-culturali, economico-sociali, architettoniche e costruttive della realizzazione del Teatro, con le acquisibili documentazioni archivistiche relative, nel caso, alla vicenda giuridico-amministrativa della struttura in oggetto, compresa la documentazione tecnico-visiva. Dalla struttura architettonica dei teatri, alla ricerca drammaturgica (testi pubblicati, copioni autografi, repertori di spettacoli), dalla vicenda relativa alla mimesi attorale fino alla materialità scenografica, dalle testimonianze prima grafico-pittoriche, poi fotografiche, quindi cinematografiche e infine televisive, per arrivare alla contemporanea multimedialità diffusa e pervasiva, è da ritenersi obbligatorio un impegno di “ricerca applicata” che sempre deve contraddistinguere la progettualità culturale della “società dello spettacolo”. Gli Archivi pertanto potranno e dovranno essere colonne portanti di tale nuova progettualità, cioè contribuire a degli “spostamenti in avanti” della memoria. Strettamente interconnessi fra loro (molti infatti saranno gli Archivi!) mediante l’ informatica, mediante Internet e quant’ altro fa comunicazione permanente, consentiranno nuovi rapporti di conoscenza. Per arrivare a ciò il tutto dovrà basarsi su una progettualità unitaria, accompagnata da un’ approfondita elaborazione teorica con il contributo di discipline diverse e con funzionali sinergie scientifiche. La costruzione di una “memoria dello spettacolo” impone in definitiva, come traguardo finale, uno “spettacolo della memoria”.

 

Memoria

Con cinquant’ anni o quasi di mia “presenza in scena” (mi riferisco alla scena delle attività teatrali in Puglia, specificatamente nella città di Bari) oso tracciare un regesto, sia pure saltellante, delle attività e produzioni di spettacolo, delle compagnie e gruppi che dalla fine degli anni ’40 in avanti hanno popolato i palcoscenici locali. Inizierò, come si vede, da spettacoli, formazioni ed episodi anche degli anni ’40 e ’50: è evidente, dato che per ragioni anagrafiche la memoria del sottoscritto non va indietro oltre la prima metà degli anni ’60, che in questi casi mi rifaccio a cronache ormai ben acquisite, oltre che a tracce lasciate in passato da testimoni e spettatori eccellenti (per esempio l’ amico e collega Egidio Pani) che già in altri contesti ne hanno parlato.Doveva ancora terminare la guerra, siamo a dopo l’ 8 settembre 1943, che già a Bari, con la sua stazione radiofonica che trasmetteva su tutto il territorio italiano, si aprono le menti e i teatri, così gli attori (o aspiranti tali) si scatenano: ancora studente di giurisprudenza Riccardo Cucciolla recita al Piccinni in Scandalo, commedia brillante di Dario Niccodemi. Intanto la riapertura del Piccinni (per dire, vi si tenne nel gennaio ’44 il primo Convegno dei partiti antifascisti, presenti Benedetto Croce, Carlo Sforza, ecc.) ospita commedie “americane” prima inedite o censurate, tipo Piccola Città di Thornton Wilder in cui (oltre a Cucciolla) lavora uno strano ensemble di teatranti professionisti sfuggiti o capitati a Bari per vicende belliche, tipo Ubaldo Lay o lo scenografo Piero Zuffi. Verso la fine degli anni ’40 compare (o ricompare) a Bari il regista Pietro Sharoff (già allievo di Stanislavskij, naturalizzato a Roma dagli anni ’30): si crea una Scuola di teatro, con Sharoff pendolare fra Roma e Bari e con Giovanni Bozzo e il regista Daniele Luisi attivi fomentatori di iniziative e spettacoli. Cito, fra il ’45 e il ’48, testi come Vetri appannati di autore americano (anzi autrice, Olga Prinztalu) nel ’46, poi ancora (copioni forniti evidentemente da Sharoff) testi come Why change your wife? di Cecil B. De Mille, Camille di Fred Niblo, fino alla Importanza di chiamarsi Ernesto di Wilde, che la scuola di Bozzo-Luisi mette in scena nel’48. Si struttura insomma una (ed è la prima!) di quelle Stabili di Bari che si susseguiranno con sfortunate (in genere) vicende fino agli anni ’70 ed oltre. Questo dei tentativi di realizzare a Bari, in generale in Puglia, una struttura stabile e pubblica di teatro di prosa è un percorso addirittura appassionante, o quasi, che si manifesta da noi immediatamente a ridosso di quell’ evento memorabile e seduttivo che fu nel ’47 la fondazione a Milano del Piccolo Teatro da parte di Giorgio Strelher e di Paolo Grassi (il “pugliese-milanese” da Martina Franca). Sulla falsariga di Bozzo- Luisi e della loro scuola-compagnia più o meno Stabile, si affiancarono nei primi anni ’50 una Bottega delle Arti diretta da Domenico Dell’ Era (dove fecero le prime prove Eugenio D’ Attoma, Nietta Tempesta e Mario Mancini) accanto a una Stabile di Prosa Enal-Bari (attori Armado Scaturchio, Mena Suglia, Rosa Di Napoli) con testi quali Spettri di Ibsen, Il piacere dell’ onestà di Pirandello, Dolce intimità di Noel Coward, Una domanda di matrimonio di Cechov. Da segnalare nel ’51 al Piccinni U’ cafè antiche di Vito Maurogiovanni, regia di Walter Mastrangelo, scene di Filippo Alto. Ma ecco nel ’54 una Stabile di prosa Città di Bari (finanziata dal Comune)mette in scena Nozze di sangue di Garcia Lorca, protagonista Paola Borboni, regia di Anton Giulio Bragaglia. Questa Stabile Città di Bari sopravvisse un paio di anni, diretta da Gustavo D’ Arpe, figura di intellettuale, dandy brillante, critico teatrale che sulla Gazzetta del Mezzogiorno successe a Leonardo Mastrandrea nel ’57, precedendo nell’ ordine Giuseppe Giacovazzo, Egidio Pani, il sottoscritto buon ultimo. D’ Arpe finì poi a Roma come attore nella Hollywood sul Tevere! La Stabile mise in scena nel corso di un paio d’ anni numerosi testi, fra cui Zoo di vetro di Tenessee Williams, Il topo di Carlo Maria Pensa con la regia di Andrea Camilleri (sì, proprio lui!), Corruzione a palazzo di giustizia di Ugo Betti con Salvo Randone, Tristi amori di Giacosa, Sei personaggi in cerca d’ autore di Pirandello. Fra polemiche e malumori (a D’ Arpe era succeduto nel ’56 Giacovazzo) la Stabile Città di Bari passò il testimone nel ’57 a uno Stabile regionale, sostenuto dalle Province pugliesi e diretto sempre da Giacovazzo: unica messa in scena, con Salvo Randone e con regia di Orazio Costa fu Assassinio nella Cattedrale di Eliot. Intanto quel decennio degli anni ‘50 vede muovere i suoi passi il gruppo formato da D’ Attoma, Nietta Tempesta, Mario Mancini, Lucia Zotti che dapprima come Gad Prometeo, poi come Teatro Circolare, infine come Piccolo Teatro, da allora in poi porterà avanti, per decenni, una sua linea di ricerca e gusto della messinscena non peregrina. Nel ’57 nasce poi (ad opera di professori, studenti dell’ Ateneo barese e sotto la sferza propositiva di Egidio Pani, quel Cut/Bari che fu per quasi trent’ anni palestra di ardimenti, campo d’ azione per ricerche e approfondimenti, stimolo per aperture e acrobazie teatrali senza rete. Evito di dilungarmi, essendo da un certo punto in poi parte in causa: ricordo fra gli spettacoli L’ astrologo di Della Porta (1961) regia di Pani, La cantatrice calva di Jonesco (1963) regia di Piero Panza, il Tuttobeckett (1966) regia di Panza, poi le regie di Michele Mirabella da Leonzio e Lena di Buchner (1967) a Romeo e Giulietta e la peste (1968) al Ragionamento sul potere a proposito de Giulio Cesare di Shakespeare (1969), fino all’ epicedio di questa stagione rappresentato dal Cieli di carta del 1980. Ultimo spettacolo siglato Cut/Bari sarà, dopo un periodo in cui regista di riferimento fu Franco Perrelli, nel 1990 uno Zio Vanja di Cechov con la regia di Franco Damascelli. Attori come Gianni Macchia, Giorgio Aldini, Maurizio Micheli e poi Rino Bizzarro, Piero Luisi, e tanti altri hanno “attraversato” quel teatro universitario barese; un teatro che procurò al pubblico di Bari anche dei brividi internazionali, con la presenza nel 66 e nel 67 del Living Theatre di Julian Beck e Judith Malina, in Antigone e in Frankenstein al Piccinni. Al Piccolo Teatro e al Cut, i protagonisti baresi degli anni ’60, si vennero man mano affiancando altri gruppi, altri sodalizi, con delle esperienze sporadiche ma interessanti: ricordo un Teatrino della Gironda, uno della Colonna, il gruppo Amici del teatro che ospitava “chicche” teatrali nel salone del Circolo Unione, dove rammento aggirarsi Alberto Moravia con Dacia Maraini, nel 68 credo, per la recita de L’ intervista. Nel 1970 intanto inizia le attività un nuovo gruppo dal nome strano, l’ Abeliano, fondato da Vito Signorile e Nicola Marrone. Farà strada, così come ne farà un altro gruppo, che nascerà nel 1980 da una costola del Cut, sotto l’ ala protettiva di Carlo Formigoni, pedagogo e regista: il Kismet. Nel 1972 era stata la volta di Puglia Teatro, fondato da Rino Bizzarro; ricordo uno dei primi spettacoli Moresca, testo scritto dal giornalista Beppe Lopez, testo che non parlava dei Mori ma di Aldo Moro e maltrattava un po’ lo statista pugliese. Puglia Teatro farà poi la sua strada, con Bizzarro sempre maitre à penser, con la scoperta della maschera di Don Pancrazio Cucuzziello(1975) con regia di Mirabella, conFuori dalla porta di Borckert (1975) regia di Franco Perrelli e poi via via anno dopo anno, con vicende e spettacoli che si collegano a questa faccenda degli Archivi teatrali, visto che proprio l’ Archivio di Puglia Teatro è stato acquisito e riconosciuto dalla Sovrintendenza archivistica regionale. Ma negli anni ’70 si consuma anche un ulteriore tentativo di creare un teatro Stabile a Bari, in Puglia: si tratta di Bari Teatro, sodalizio che prese le mosse nel 1972, un accordo fra Cut/Bari, Piccolo Teatro e Gruppo Abeliano che produsse nel ’73 uno spettacolo, I carabinieri di Beniamino Joppolo con la regia di Mirabella, dove recitavano Lucrezia Bellomo, Lino Di Turi, Rino Bizzarro, Cris Chiapperini, Mario Mancini, Nietta Tempesta. Dopo alcune repliche, fra contrasti politici e beghe locali, anche questa esperienza fallì miseramente. Intanto erano sorti gruppi come I campi Elisi, come I Baresi diretti da Pino Solfato, come la Teatro Sud (a Mola di Bari) che produsse fino a metà degli anni ’80 numerosi spettacoli con la regia spesso di Armando Pugliese, sotto la guida organizzativa di Vittorio Capotorto. Intanto al di là della cinta daziaria di Bari Capitale, nella più vasta Puglia sorgevano compagnie (degne di questo nome beninteso!) a Foggia con Il Teatrino diretto da Nucci Ladogana, a Lecce con Astragali e poi con la compagnia Koreja, entrambe fecondate dal magistero e dal linguaggio di un maestro come Eugenio Barba con il suo passaggio fondamentale nel Salento, vedi nel 1975 la “residenza” a Carpignano. Prendeva il via intanto, e si consumava per strada, la ricerca e il recupero del teatro e della lingua popolare. A Bari e non solo una pletora di spettacoli ”vernacolari”, che dopo le trovate originali dei capostipiti del genere (ricordo Maurogiovanni del Cafè antiche, la Lettera di un emigrantedel Cut nel ’72 diretto da Mirabella, il caso eclatante di Jarche Vasce del Piccolo, dal ’74 in poi, sempre con regia Mirabella), si è precipitati spesso in degeneri episodi meramente comici, spesso di basso profilo. Non è mancata certo un visone critica del mondo popolare-vernacolare, o delle vicende patrie, ricordevoli i testi teatrali di Nicola Saponaro (un vero “poeta di compagnia”) come la scrittura scenica degli attori della Anonima G.R. (da Dante Marmone a Tiziana Schiavarelli a Pinuccio Sinisi) attivi da questi anni ’70 in avanti. Si moltiplicano i gruppi e le sigle, si moltiplicano gli spettacoli, crescono anche le sale di spettacolo: a Bari per esempio, dopo il glorioso teatro-cabaret Purgatorio (attivo dal 1974 ad opera di Beppe Stucci) si aprono gli spazi dell’ Abeliano, del Kismet, dell’ Anonima G.R., ancora i teatrini Barium, Duse, Dolce Vita. Il fatto è, anche se non è una causale formalmente determinante, che sorge nel 1976 il Teatro Pubblico Pugliese, consorzio fra Comuni, Province eRegione Puglia. L’ impatto del Consorzio TPP sulle attività teatrali pugliesi sarà, da allora in poi, determinante e determinato. L’ ultimo scorcio del secolo scorso, il periodo che va dagli anni ’80 al 2000, vede in sostanza il rafforzarsi, pur tra alti e bassi, di quelle strutture sul territorio più capaci di entrare in sintonia con la logica della distribuzione da un lato (auspice giustappunto il Teatro Pubblico) con quella di produzioni commisurate alla capacità di assorbimento da parte del pubblico e del circuito, in specie regionale. Poche le compagnie in grado di uscire dalla circolazione regionale, tra esse il Kismet, l’ Abeliano, i leccesi di Koreja, cui (specie per le attività di Teatro Ragazzi) si sono affiancate alcune nuove formazioni, dal Crest a Taranto, al Cerchio di Gesso di Foggia, alle più recenti compagnie del Teatro Minimo di Michele Sinisi e Michele Santeramo, o la Luna nel Pozzo di Ruvo diretta da Michelangelo Campanale, fino a compagini giovanili appena in fieri come la Vico 4° Mazzini, la OniricaPoetica e poche altre. Nel 1983 ci fu il labile tentativo di fusione fra il Piccolo di Bari e il Teatrino di Foggia ne La Corte del Catapano, con allestimento sporadico del Cappello di paglia di Firenze di Labiche (regia di Nucci Ladogana). Il Teatro-ragazzi ha avuto nel corso degli ultimi venti anni, un incremento notevolissimo; da ricordare non a caso l’ excursus del “teatro di figura”, a cominciare dall’ attivismo di un Granteatrino (alias Casa di Pulcinella) del mastro burattinaio Paolo Comentale. Mentre il “piccolo mondo antico”dei nostri teatranti pur tentava, solo in parte riuscendovi, di modernizzarsi e di adeguarsi alle esigenze di un “mercato teatrale” in continua evoluzione sul piano dei linguaggi più che dei contenuti (si pensi all’ exemplum rappresentato dal modello televisivo), le vicende di apertura-chiusura-distruzione-ricostruzione dei pugliesi, anzi baresi, “grandi teatri”” dal Piccinni al Petruzzelli e delle loro stagioni molteplici e multiformi (dal 1980 in avanti, almeno) rappresentano un capitolo a parte e fondamentale, per ogni futura e futuribile archiviazione e catalogazione. Si ricordi inoltre la vicenda delle sale teatrali, al di là della città di Bari, con la loro riapertura all’ utilizzo per lo spettacolo: è accaduto, in questo cinquantennio, a Foggia, Cerignola, Bisceglie, Bitonto, Corato, Altamura, Santeramo, Gioia del Colle, Lecce e ancora in tante altre località che ora sto colpevolmente dimenticando. Per la serie di vicissitudini sulla “Stabile che non c’è”, è notizia di questi mesi del 2015 che la “fusione” tra le compagnie Abeliano e Kismet, a fronte di un ambito riconoscimento ministeriale, sembra aver attivato un virtuoso processo di progettazioni e produzioni. Vedremo. Quanto poi alle tante “rassegne” o Festival che nel corso dei decenni si sono susseguite in regione sopravvive, accanto ai casi eclatanti in campo musicale (dall’ ormai decennale Festival della Valle d’ Itria a Martina Franca fino al recente e iper-mediatico caso della Notte della Taranta nel Salento) nel campo del tetro di prosa toccherà farsi carico di mettere in memoria tutti i debutti e le attività del Festival Casteldeimondi, rassegna ormai maggiorenne, visto che lo si fa da diciotto anni, fra Andria e Castel del Monte.
Ma basta, basta... E’ qui che Prospero spezza la sua fragile bacchetta mnemonica (si licet parva magnis componere!) e i suoi incanti e ricordi sono tutti spezzati. Ad altre braccia, ad altre menti di più fresca lena, l’ arduo compito di realizzare veramente e concretamente l’ immane compito di archiviare il teatro. Di Puglia e non solo.

Archiviate... Qualcosa resterà...

Pasquale Bellini

 

 

 

Il mio Archivio

PUGLIA TEATRO

Nel 2006 Il Ministero per i Beni e le Attività culturali, attraverso la Soprintendenza Archivistica di Puglia e Basilicata, istituì un apposito settore dedicato agli archivi teatrali e cominciò una sorta di censimento degli archivi teatrali più consistenti ed importanti sul territorio. Il primo archivio in Puglia e Basilicata ad ottene il riconoscimento “ di interesse storico particolarmente importante” fu l’Archivio della Compagnia Puglia Teatro di Bari, nell’Aprile del 2007, con un apposito finanziamento finalizzato alla sistemazione ed all’ottimizzazione dell’Archivio stesso. Da allora diversi altri archivi si sono aggiunti, di notevole importanza culturale, grazie anche al lavoro intenso e competente di alcuni funzionari della Soprintendenza Archivistica di Puglia e Basilicata, prima fra tutti Maria Pia Pontrelli, forse anche grazie ad una antica personale passione per il teatro, mai del tutto sopita, che fu delegata al settore. Qualcuno dei soggetti interpellati poi non ha mai capito bene il senso di un archivio, continuando a guardare tutto con ingiustificato sospetto e timore; qualche altro ha capito invece l’importanza della cosa ed ha aderito al riconoscimento ed alla tutela Ministeriale con il giusto coinvolgimento e partecipazione; altri ancora furbescamente, da par loro, hanno cercato di approfittare del momento e della situazione per altri scopi...absit iniuria verbis. Un passo indietro: un pomeriggio dell’autunno del 2006 Maria Pia Pontrelli, capitata per altre ragioni presso la sede della Compagnia Puglia Teatro, dando una occhiata in giro ed a seguito di una breve conversazione sui materiali detenuti e custoditi dalla Compagnia, affermò che bisognava subito emanare una dichiarazione di interesse culturale e storico per tutto il consistente materiale d’archivio conservato, in modo da porlo sotto la preziosa tutele del Ministero, attraverso la Soprintendenza Archivistica di Puglia e Basilicata. I responsabili della Compagnia Puglia Teatro ed io personalmente in testa, capimmo subito l’importanza del momento storico ed agevolammo il lavoro della Soprintendenza; in breve tempo il Ministero emanò il riconoscimento “di interesse storico particolarmente importante”; da allora quindi l’Archivio di Puglia Teatro fu “il primo archivio teatrale di interesse pubblico in Puglia e Basilicata”; ciò rappresenta il più importante crisma dell’ufficialità in materia. Numerose visite di scolaresche intere sono già intervenute presso la sede di Puglia Teatro e del suo Archivio in Via Indipendenza 75 a Bari, accanto al cui portone campeggia una targa che segnala la presenza appunto di un “Archivio Teatrale”, a suggello della sua oggettiva importanza. I ragazzi intervenuti per le visite hanno voluto conoscere, vedere, sapere del materiale custodito e quindi della vita e dell’attività svolta dalla Compagnia Puglia Teatro in oltre 40 anni di lavoro ininterrotto e dell’attività che svolge oggi; in fondo è anche questo il senso, il valore e l’importanza di un Archivio: mantenere viva la memoria di un segmento di storia attraverso la visione e la conoscenza delle tracce tangibili di quella storia. Nel nostro caso, nel caso di Puglia Teatro, il materiale custodito dell’archivio teatrale è costituito da: manifesti, locandine, programmi di sala, pieghevoli illustrativi e pubblicitari, programmi di stagioni intere, pubblicazioni rare e preziose, italiane ed internazionali, foto di prova e di scena degli spettacoli allestiti, copioni e appunti di lavoro e di regia di spettacoli teatrali, di produzioni di programmi realizzati per la Rai, di laboratori teatrali per le scuole di ogni ordine e grado in collaborazione con l’Università di Bari; una imponente rassegna stampa nazionale ed internazionale, testimonianze audio e video di gran parte dell’attività svolta in più di 40 anni di intenso lavoro, fra gli ultimi decenni del Novecento ed i primi del nuovo Millennio, ecc. Si tratta di una mole di documenti e testimoninze davvero notevole, che ogni anno aumenta sempre più, giacchè si tratta di un archivio “aperto” in quanto la Compagnia Puglia Teatro è tuttora in attività insieme al Centro culturale “L’Eccezione” dove essa opera in prevalenza ed in maniera continuativa. Puglia Teatro presso L’Eccezione inoltre ha dimostrato e dimostra che non si fa cultura e spettacolo solo in un modo; si può fare cultura e spettacolo anche in altri modi, anche per esempio nella maniera in cui Puglia Teatro propone al suo pubblico presso L’Eccezione le sue innumerevoli serate culturali in grado di toccare gli argomenti più disparati della cultura, dello spettacolo, dell’attualità, della formazione sociale ecc. e che trovano l’approvazione ed il convinto consenso del pubblico che segue le varie iniziative. Un altro passo indietro, più lungo: all’inizio degli anni Venti del Novecento, poco dopo la fine della prima guerra mondiale, mio nonno paterno ( passi la connotazione personalistica), il Commendatore Raffaele, donò ad una istituzione locale, forse il Comune ?, di cui era funzionario, una gran mole di materiali del suo archivio personale: era anche un giornalista e dirigeva due periodici satirici a quel tempo molto conosciuti e seguiti. Forse è stato proprio lui, chissà, il primo in assoluto a porsi il problema della conservazione della nostra memoria storica in un “Archivio”, di cui probabilmente allora non si aveva ancora piena contezza, nè esistevano le “tutele” di oggi. Purtroppo nel frattempo è intervenuta un’altra guerra mondiale, qualche alluvione ed altri disastri, per cui di tutto quel materiale del mio avo non sono riuscito a rintracciare più nulla, salvo alcuni scritti e saggi sul teatro, custoditi in una biblioteca nazionale e diversi numeri dei suoi antichi giornali. Questa può apparire una considerazione amara, ma non lo è, perchè comunque, anche con addirittura una guerra mondiale nel mezzo, qualche reperto di quell’archivio è pervenuto comunque fino a noi; per cui c’è speranza per il futuro: io conosco e ricordo mio nonno solo grazie a quei pochi reperti che mi sono arrivati da un passato così remoto e travagliato; se non ci fossero stati, mio nonno sarebbe rimasto un perfetto sconosciuto per me. Quindi onore al merito. Nella mia attività professionale ho realizzato un numero considerevole di spettacoli teatrali, di programmi per la Rai, di laboratori teatrali per le scuole di ogni ordine e grado, come autore, come regista, come attore ecc., ma uno dei miei “spettacoli” più impegnativi è stato sicuramente l’allestimento e la messa a punto dell’Archivio della Compagnia Puglia Teatro. Si è trattato nei fatti di mettere a punto un lavoro incominciato nella stagione teatrale 1974/75 (senza contare la precedente attività professionale personale con altri Gruppi e Compagnie), quando dopo l’esperienza della emigrazione culturale, insieme ad un gruppo di professionisti pugliesi decidemmo di dar vita ad una Cooperativa teatrale, proprio per non essere più costretti ad emigrare e per cominciare anche qui in Puglia a scrivere una storia nuova. Operazione in buona parte riuscita, e che oggi sta dando i suoi frutti, se è vero come è vero, che per fare il mestiere del teatro a Bari ed in Puglia, oggi non è più necessario andare via verso Milano o Roma, ma si può cominciare anche “rimanendo” in Puglia, pur se questa scelta è ancora la più faticosa. In quella stagione 1974/75 decidemmo di debuttare con un testo molto impegnativo di un autore tedesco, Wolfgang Borchert ed il suo “Fuori della porta”, anche per celebrare i trent’anni della Liberazione dell’Italia dal fascismo; lavoro interessantissimo e molto difficile, poetico e di una dolente drammaticità, che vide impegnato il cast di Puglia Teatro in una prova al limite delle proprie possibilità professionali. Superata quella prova, fu la volta del recupero e della riproposta dell’unica maschera teatrale pugliese, derivante dalla Commedia dell’Arte, Don Pancrazio Cucuzziello, ripescato fra le pieghe del teatro napoletano dell’Ottocento, dove la Maschera ebbe un enorme successo accanto al Pulcinella di Antonio Petito. Don Pancrazio rappresentava e rappresenta il pugliese inurbato nella grande città, Napoli, cafone e impacciato, avaro e ridicolo corteggiatore di giovani donzelle, lui che non era certo un giovincello, sempre preso in giro e alla fine messo in condizione di apparire sempre ridicolo, con quella sua parlata fra pugliese (biscegliese era l’origine della Maschera) e napoletano poco credibile ed ancora perciò più comico e spassoso per il pubblico del Teatro Sancarlino di Napoli. Fu un successo clamoroso, con la regia di Michele Mirabella; lo spettacolo girò mezza Italia ed ottenne lusinghieri riconoscimenti da tutta la stampa nazionale che assistette alla rappresentazione fra l’altro anche al Teatro Politecnico di Roma ed al San Ferdinando di Napoli, il Teatro-casa di Eduardo De Filippo. Poi vennero decine e decine di altri spettacoli, lungo l’arco di tempo di oltre quarant’anni, e sistemarne le tracce in un archivio che terstimoniasse per i posteri quell’immane lavoro fatto non era affatto facile. In ogni copione parlava un personaggio dello spettacolo, in ogni locandina, in ogni manifesto, in ogni pubblicazione, avevano voce i vari personaggi che avevano animato i diversi spettacoli; riordinarne le tracce era ripercorrere la vita di quegli spettacoli, rivivere i brividi di ogni debutto, la passione di ogni rappresentazione, l’ansia di ogni responso del pubblico. E’ durato alcuni anni il lavoro di riordino e di sistemazione dell’Archivio di Puglia Teatro ed oggi esso rappresenta un punto fermo di riferimento per il ricercatore, lo storico, il semplice appassionato che voglia saperne di più di quell’arco di tempo che va dalla fine della seconda guerra mondiale ai primi decenni del terzo millennio, anno più anno meno, con particolare riferimento alle vicende culturali e teatrali di Bari, della Puglia e dell’intero Mezzogiorno d’Italia. Ciò che può essere tangibilmente testimoniato e tramandato alle generazioni future è destinato a sopravvivere a tutto e a non morire mai: è la vera Cultura dei popoli.

Rino Bizzarro

ARCHIVISSIMA
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