racconti
Il 309
Estate 1976.
Un viaggio sull'autobus FIAT 309 attraverso il tempo che scorre.
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Estate 1976
“Allora ti fermi a mangiare con noi questa sera? Faccio la pasta che piace tanto a te” chiede Mariagrazia mentre porta i bicchieri in cucina.
“Apprezzo la tua generosità ma penso che tornerò a casa che ho ancora del lavoro da finire e dopo domani devo partire” risponde Mario mentre spegne la sigaretta nel posacenere e si alza dal tavolo.
“Sempre il solito noioso sei, Torino ti sta facendo esaurire” dice Alberto ridendo.
Effettivamente ha ragione, da quando Mario si è trasferito a Torino non pensa ad altro che al lavoro, ma non lo dice, per evitare di scoppiare in lacrime davanti ai suoi vecchi amici.
Mario saluta tutti ed esce di casa, osserva ancora un po' l’orizzonte e il riflesso del sole che sta tramontando sul mare e si incammina con la testa bassa e piena di pensieri.
“Scusi sa per caso dirmi che ora si è fatta?” chiede a un cameriere che stava fumando fuori dal ristorante.
“Sono le 19:20 signore” risponde con un tono molto educato il ragazzo e saluta Mario che si allontana dopo averlo ringraziato.
“Sette e venti, sette e venti” si ripete in mente mentre guarda un piccolo foglietto scritto a penna che ha tirato fuori dal taschino della camicia a mezze maniche.
“Bene per fortuna sono ancora in tempo” esclama con tono sollevato come se si fosse tolto un peso dalla schiena e si accende una sigaretta.
Arriva l’autobus, l’ultima corsa che lo può riportare in città, sale e si siede, in fondo vicino al finestrino come suo solito. Osserva il paesaggio che scorre veloce ai suoi occhi mentre iniziano ad accendersi le prime luci dei lampioni che illuminano le strade serali della costa; si sistema comodo su quei sedili che gli ricordano molto quella poltrona che la nonna aveva in casa vicino alla credenza e chiude gli occhi con un sorrisetto che gli stira la pelle del viso e si addormenta.
La corsa dell’autobus è lunga fino alla città e lascia il tempo a Mario di immergersi nei suoi ricordi mentre dorme beato con i capelli leggermente scompigliati dall’aria che entra da quel finestrino socchiuso.
“Mario veloce che se no perdiamo l’autobus” una voce soave rimbomba nella mente di Mario, “Mario coraggio sbrigati” dice la voce della madre.
Mario apre gli occhi e si ritrova nel corpo di un bambino, in ginocchio su un sedile e con il naso attaccato al finestrino mentre la madre si sistema i ciuffi di capelli che sono usciti dalla fascetta per colpa della corsa per prendere l’autobus.
“Mamma sai che questo è il mio momento preferito quando andiamo a trovare le zie” pronuncia Mario con la voce di un bambino felice fino ai capelli che guarda la madre mentre è in cerca di un fazzoletto di stoffa per ripulire il maglioncino sporco del figlio.
“Si lo so lo so Mario, me lo dici sempre quando saliamo” risponde la madre con un sorrisetto.
Mario continua a guardare il paesaggio che scorre veloce per via dell’accelerazione dell’Autobus.
Mario si gira verso la madre e gli appoggia la testa sul braccio che inizia ad avvolgerlo facendogli da cuscino, poi guarda fuori e dice alla madre: “ Guarda mamma noi siamo più veloci di loro” riferendosi alle persone sulla passeggiata che scompaiono dietro all’autobus.
“Certo che noi siamo più veloci, noi siamo sul 309 mentre loro sono a piedi” dice la madre pronunciando il modello del pullman che sa essere quello preferito da Mario.
“ IL 309 E’ IL MIGLIORE” esclama Mario con gli occhi illuminati dalla felicità.
Nel mentre l’ autobus si ferma perché arrivato al capolinea in città e apre le porte. Mario e sua madre scendono salutando l’autista che ferma Mario e gli dice di attendere.
“Ecco a te giovanotto, ho sentito che ne parlavi con tua madre e penso che possa servire più a te che a me” dice l’autista mentre gli porge una targhetta in metallo rosso fuoco con inciso “ AUTOBUS FIAT 309”.
Ringraziano e si avviano verso casa mentre Mario ammira il suo regalo che stringe nella mano per paura di perderla.
Mario strizza gli occhi e si stira mentre l’autobus percorre l’ultima fermata della linea.
Mette la mano in tasca e sfila la Targhetta mezza piegata e mezza scolorita che funge ormai da portachiavi e la tiene in mano per un poco di tempo mentre gli si bagnano gli occhi al sentore di fresco del metallo sulla mano calda.
Arrivato alla stessa fermata di quando era piccolo, sfila una sigaretta dal pacchetto, la accende e si sofferma a osservare l’Autobus con gli stessi occhi con cui lo guardava da bambino e con lo stesso sorriso appesantito solo dall’età.
Gli passa una mano sulla fiancata come se volesse accarezzarlo, butta un’occhio sui cerchioni e saluta l’autista mentre si incammina pensando che è riuscito a prenderlo per l’ultima volta e a rivivere lo stesso sentimento che viveva ogni volta che lo prendeva da bambino.