racconti
Facciamolo.
L’archivio è un antenato vitale e universale da cui si discende, una presenza a cui ci rivolgiamo per orientarci e per sapere chi siamo. E sa essere anche un oracolo, come vi racconteremo.
È il 30 dicembre 1995. Manca poco alla fine dell’anno, e lo storico e critico d’arte Federico Zeri scrive una lettera all’I.R.I., l’Istituto per la Ricostruzione Industriale per fornire una valutazione economica a un gruppo di dipinti di proprietà della società Fintecna. Una perizia tecnica: «Forse perché destinate sin dalla nascita ad essere riprodotte nelle copertina della rivista "Civiltà delle Macchine" (…) parecchie opere dipinte sono di particolare qualità inventiva ed esecutiva».
E poi, a margine, una breve considerazione appassionata e struggente, istintiva, per certi versi non richiesta: «Dato il pregio della raccolta di dipinti, mi permetto di suggerire di non disperderla o di frazionarla, sibbene di esporla tutta assieme in un unico locale, in modo da poter venir fruita e studiata da eventuali visitatori»
«Facciamolo». Quando questo stesso documento, nel 2013, dopo un riposo di diciotto anni presso l’Archivio Centrale dello Stato, perde la sua polvere, diventa immediatamente un «facciamolo». Un progetto futuro. Un impegno e un messaggio, perché attraverso gli archivi ci si parla attraverso i limiti del tempo. «Facciamolo» diventa qualcosa di più un desiderio: si trasforma in una relazione di destino con il critico d’arte.
«Facciamolo» dura altri sette anni. È il tempo necessario per studi, ricerche, incontri, recuperi, analisi e studi di fattibilità, fino a quando, nel 2020, la sede storica di Cassa Depositi e Prestiti di Roma celebra il suo museo aziendale con un allestimento di quelle stesse opere indicate da Federico Zeri. Dipinti e disegni che per la prima volta diventano un organismo vitale e unitario, come quando furono commissionate per la rivista "Civiltà delle Macchine" tra il 1953 e il 1979. Una collezione che da allora, quotidianamente, è «fruita e studiata da eventuali visitatori» come suggeriva il critico d’arte nella sua lettera di fine anno.
Perché le passioni, grazie agli archivi, sopravvivono.