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"La famiglia Bracco con l’Italia nel cuore" per il contest "La scuola racconta un archivio"
La reinterpretazione della storia di Fulvio Bracco, esule istriano, imprenditore di successo che ha influito sullo sviluppo della città di Milano e della chimica italiana, la cui vita è un esemplare parabola di un dramma e di una rinascita personale e collettiva, raccontata attraverso le parole di giovani studenti.
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Sono Fulvio Bracco, l’enciclopedia mi definisce imprenditore e chimico italiano, e… un uomo che ha anticipato i tempi, ma io mi considero anzitutto un ottimista… se no non avrei fatto l’imprenditore. A chi avrà la pazienza di seguirmi in questo viaggio vorrei raccontare la mia storia, che parte dalla mia amata Neresine in Istria, fino ad arrivare a Milano, raccontando i valori in cui credo e per i quali mi sono impegnato come cittadino italiano e come industriale.
Della mia lontana infanzia un ricordo su tutti: un’emozione forte che ha lasciato in me un segno profondo e indelebile.
L’Europa stava precipitando nella tragedia della Prima Guerra Mondiale.
Ricordo come se fosse ieri quella notte: saranno state le 2 o le 3 e forti pugni sbattevano contro la porta, accompagnati da una voce: “Elio! Elio!”
Era il commissario giunto per arrestare mio padre. Lui allora chiese “Perché ti me vol arrestar?”, la risposta “Per alto tradimento”.
Tutta la mia famiglia si sentiva - "era" - italiana e l’irredentismo si respirava intensamente in casa nostra.
Mio padre venne quindi arrestato e trascorse 2 anni nel carcere di Graz.
Una settimana dopo l’arresto, arrivò a Neresine un rimorchiatore con a bordo poliziotti e soldati, per trasportare la mia famiglia nel campo di concentramento di Mittergrabern, uno di quelli che l’Austria chiamava campi di internamento.
Nel 1918 siamo stati liberati e, per tornare a casa, seguirà un lungo e disastroso viaggio tra sparatorie, disperazione e lunghe soste.
Tornammo in Istria, dove mio padre riprese l’attività in una cooperativa di barche a vela. Il mare è sempre stato la mia passione.
In seguito, però papà venne trasferito a Trieste. Il trasferimento segnò una svolta nella sua vita, in seguito alla nomina a Sottoprefetto di Trieste.
Siamo nel 1927, quando mio papà Elio Bracco fonda a Milano la “Società Italiana Prodotti
E. Merck – Anonima”.
Inizialmente Milano ci intimoriva perché era totalmente diversa da Trieste, con auto e tram ovunque.
Dopo l’esame di maturità, ho scelto la Facoltà di Chimica e Farmacia; il primo anno lo frequentai a Milano per poi spostarmi a Pavia.
Andavo a Pavia in treno e lì ho conosciuto Anita, la più bella ragazza dell’università. Tutte le scuse erano buone per parlarle. Per esempio, sapevo che fumava come un turco. Così un giorno vado nel suo scompartimento e vedo che cerca le sigarette. Io, pronto, gliene offro una; non ero assolutamente un fumatore, ma avevo appositamente comprato un pacchetto di Camel e lo tenevo sempre con me. Anita mi ringrazia e mi dice: “E lei non fuma?” “Sì, come no?”, rispondo disinvolto. Accendo la sigaretta e subito inizio a tossire: “Lei non ha mai fumato!”, mi dice. “Ha ragione”, le confesso sincero.
Così è cominciato un rapporto amichevole. Anita era già laureata e, come me, aveva superato brillantemente l’esame di Stato a Torino.
Quell'estate, durante il periodo di lavoro alla Merck a Darmstadt, posso dire di aver assistito all’anteprima europea della vitamina C. Pochissimi anni dopo, nel 1934, il Cebion, vitamina C, veniva messo in commercio in Italia dalla Italmerck.
Per me il 1937 è una data fondamentale: io e Anita ci siamo sposati. L’avevo assunta in azienda e, lavorando insieme, ci siamo definitivamente innamorati. Mio padre però voleva che sposassi la figlia di un ricco profumiere, così ci sposammo in segreto.
Quando mio padre lo scoprì successe il finimondo, ma alla fine Anita venne accolta in famiglia con un enorme affetto.
Le donne hanno avuto sempre un ruolo determinante alla Bracco. Da mia moglie fino a mia figlia Diana, prima Direttore Generale e poi Presidente e Amministratore Delegato del Gruppo Bracco.
Abbiamo fatto grandissimi sforzi e tanti sacrifici per tenere in piedi l’azienda nei cinque anni di guerra. Ma con la fine del conflitto mondiale, nel 1945, altre difficili prove ci attendevano. Sapremo superarle!
Con lo stabilimento di Lambrate inizia la storia della Bracco quale oggi è conosciuta. La chiamerei: la storia istituzionale.
A margine di questa storia, ma niente affatto marginali, ci sono però tanti avvenimenti, tanti episodi, che considero punti fermi nella mia vita di imprenditore e di cittadino.
A questi momenti dedico il mio ricordo. Anni, dunque, in quel lontano dopoguerra, di intenso lavoro per me, tutto proteso ad avviare la mia attività industriale.
Rimaneva sempre viva la preoccupazione per la mia terra, soprattutto di fronte alla strage di Vergarolla dell’agosto del 1946 che, forse più delle foibe, fu la causa dell’esodo degli istriani.
Ho mantenuto il legame con la mia terra attraverso i volti e le storie degli esuli istriani che arrivavano alla Villa Reale di Monza. Il dopoguerra era terribile, fatto di miseria e povertà. Avevo preso l’abitudine di andare alla Villa Reale per assumere come operai più esuli che potevo. Facevo i colloqui personalmente e li conoscevo uno ad uno.
Vivo ancora intensamente i sentimenti che mi legano all'Istria. Dopo il Trattato firmato a Parigi nel 1947, nessuno di noi poteva rimettere piede su quelle terre.
lo e mio padre eravamo nelle liste di proscrizione; tornare a Neresine significava finire ai lavori forzati; tutte le proprietà della nostra famiglia erano state confiscate. Solo la casa è stata poi restituita.
Nel mio cuore ho continuato a coltivare il pensiero di rivedere la mia terra natale.
E infine la proscrizione è stata cancellata. In Istria sono tornato nell’'estate del 1970. Siamo andati a Neresine ed ero profondamente commosso per i tanti ricordi che si rincorrevano nella mia mente.
Non ho mai dimenticato il mondo degli esuli e la mia Neresine, l'Istria, l'isola di Lussino sono ormai solo ricordi e nostalgia.
“Perché non è vero che crescendo somigliamo solo a nostro padre e a nostra madre. Somigliamo anche inevitabilmente alla terra, ai sassi, al vento che ci hanno accolto nascendo: dell’Istria, i suoi figli portano le stimmate persino nella fisionomia, nei tratti aperti ma decisi dei volti, quasi scavati dalla bora, com’è per gli alberi d’ulivo che nascono e crescono a fatica in quelle terre. Sono volti, corpi e caratteri che esprimono un impasto assolutamente speciale di forza e innocenza, e forse è proprio da quell’innocenza che viene poi la forza”. (Anna Maria Mori)
Classi 3A e 3B Liceo "Primo Levi" di San Donato Milanese Alessandro Perrone, Federica Coli, Gloria Maria Orsetti, Mariem Al Mahdi, Cristian Morando, Angela Jhien Landicho, Alice Cazzulani, Margherita Lo Mauro, Riccardo
Pace, Sofia Vattiata, Francesco Sarritzu