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Il Raid Roma-Tokyo: l’inizio di un’amicizia

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Archivio dell'Ufficio Storico dell'Aeronautica Militare
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Volare nel 1920 con un minuscolo aereo percorrendo diciottomila chilometri con un unico ambizioso obiettivo: congiungere l’Italia al Giappone. Un sogno che si realizza grazie alla passione per il volo, alla determinazione e alla curiosità che conduce alla scoperta. È questa la storia di Arturo Ferrarin raccontata da Alessio Giulianelli, studente del Liceo Scientifico Francesco d’Assisi di Roma, frutto del lavoro di ricerca e studio, svoltosi nella Sala di Studio dell’Archivio Storico dell’Aeronautica Militare, nell’ambito del Percorso per le Competenze Trasversali e l’Orientamento “L’Archivio come laboratorio di didattica della storia”.

 

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Il raid Roma-Tokyo del 1920 fu un evento storico destinato a cambiare la storia dell’aeronautica, dell’Italia e del Giappone. I due paesi, grazie all’impresa progettata da Gabriele D’Annunzio e da Harukichi Shimoi e portata a termine da Arturo Ferrarin e Guido Masiero, consolidarono in modo definitivo un legame molto forte destinato a durare nel tempo. In questo articolo sarà approfondito l’arrivo di Ferrarin e di Masiero a Tokyo e cosa questa impresa ha significato. Dobbiamo però tenere a mente che questa impresa non fu frutto del lavoro di singoli personaggi ma dell’impegno e del sacrificio di moltissime persone ognuna fondamentale per la riuscita del raid. Sbaglieremo inoltre a considerare questo raid significativo solo per l’Italia ed il Giappone, l’evento, infatti, ebbe una portata mondiale e coinvolse numerosissimi paesi.
Tutto inizia a Roma e più nello specifico a Centocelle, dove, il 14 febbraio del 1920, piloti e motoristi distribuiti in undici velivoli si preparavano ad affrontare in volo diciottomila chilometri alla volta del Giappone con tappe previste in Grecia, Turchia, Siria, Iraq, Pakistan, India, Cina, Corea. La Centocelle del 1920 era molto diversa dal quartiere che vediamo oggi, presentava un vastissimo pratone puntellato di rovine archeologiche. Per quegli anni, avere molto spazio a disposizione per far decollare ed atterrare gli aerei bastava per far definire il “pratone di Centocelle” un luogo aeronautico considerato molto adatto anche da numerosi assi del volo. In tutta evidenza il pratone di Centocelle aveva ospitato il primo volo dei fratelli Wright in Italia nel 1909 dal quale tutto ebbe inizio.
Tornando all'impresa di Ferrarin, il raid non fu privo di colpi di scena, infatti, durante tutto il viaggio, Ferrarin sarà alle prese con problemi tecnici e imprevisti che rischieranno di mandare a rotoli l’impresa. In Pakistan, ad esempio, Ferrarin e il suo motorista Gino Cappannini furono fatti prigionieri da una tribù indigena che li interrogò sulla loro provenienza. Ovviamente nessuno comprese una parola di quelle pronunciate dai capi tribù tranne Ferrarin che colse l’esclamazione “Bulgar? Bulgar?” ripetuta diverse volte. Intuì allora che gli indigeni li avevano scambiati per bulgari, confondendo evidentemente il tricolore dipinto sulla coda dell’aereo con la bandiera bulgara. Per i locali questo significava che erano amici, poiché i Bulgari erano stati alleati dei tedeschi durante la Prima guerra mondiale e nella lotta d’insurrezione contro il comune nemico inglese. In un attimo Ferrarin urlò: “Bulgar!” e raggiunse il massimo del successo quando urlò anche qualche parola in tedesco. Il trucco funzionò e i due vennero rilasciati, così riuscirono a riparare l’aereo e ripartire. Altri inconvenienti avverranno lungo tutto il tragitto, Ferrarin spesso soffrirà di mal di mare e sarà costretto, alcune volte, a far fronte alla inesperienza del personale italiano deputato a presidiare le tappe. Un esempio lampante è quello di un soldato italiano che, in una tappa in Cina, per allontanare la folla radunatasi intorno all’aereo, sparerà tre colpi di rivoltella in aria danneggiando l’ala dell’aeroplano. Tutt’altra organizzazione fu quella giapponese che metterà a disposizione di Ferrarin tre torpediniere, progressivamente numerate, per indicargli la strada per arrivare in Giappone, più precisamente a Osaka, dove Ferrarin farà l’ultima tappa prima di arrivare a Tokyo. Arrivato a Osaka Ferrarin vola in un cielo nero di caligine, sorvola quello che gli sembra un grande giardino nel quale coesistono le nuove fabbriche giapponesi e gli antichi monumenti che raccontano di un impero secolare. Quando atterrano Ferrarin e Cappannini sono festeggiati ed acclamati, ad aspettarli c’è un’automobile foggiata a guisa di aeroplano adornata di moltissimi fiori con la quale i due faranno il giro della piazza per farsi ammirare dal pubblico. Subito gli viene offerta una colazione all’europea con champagne italiano e vermouth di Torino, vengono pronunciati discorsi per celebrare la grande impresa, geishe vengono fatte danzare per rallegrare le celebrazioni. Le redazioni dei più grandi giornali li celebrano, una redazione gli offre un pranzo ed un altro pranzo ancora gli viene offerto dalle autorità. Qui le conversazioni sono sempre volte a celebrare con entusiasmo l’Italia e gli italiani e a mettere in evidenza i punti di contatto fra i due paesi e i due popoli: lunghezza delle coste, abbondanza di fiori, Osaka simile a Venezia, i capelli neri della popolazione. Il desiderio dei giapponesi di far incontrare le due civiltà è tale da far dipingere Ferrarin e Masiero con gli occhi a mandorla. La mattina seguente i due ripartono alla volta di Tokyo dove tutta la popolazione li aspetta entusiasta al tal punto da non curarsi molto di due aviatori che, mandati ad incontrare Ferrarin e Masiero, si schiantano contro il monte Fuji a causa della fitta nebbia.
"Non è possibile rendere fedelmente l’importanza data dal popolo giapponese all’impresa nostra, né descrivere la grandiosità dei festeggiamenti per i quali era stata fissata la durata quasi incredibile di 42 giorni" così scrive Ferrarin nella biografia "Voli per il Mondo" quando racconta del suo arrivo in Giappone che, effettivamente, fu celebrato più di quanto potesse immaginare. Già l’atterraggio presentò caratteristiche uniche dal momento che non ebbe luogo sui campi d'aviazione intorno alla capitale ma su campi appositamente preparati per ospitare quanti più visitatori possibili. All'atterraggio, ricevettero un'accoglienza straordinaria nonostante il cattivo tempo e la pioggia. Duecentomila giapponesi erano lì con bandiere italiane e doni. Il pubblico, quando possibile, toccava e baciava loro le mani. La marcia reale italiana risuonava, e circa ventimila studenti di tutte le età intonavano un inno all'Italia. In loro onore, fu organizzato uno spettacolo epico, della durata di 12 ore, con la partecipazione di tutti i migliori attori giapponesi. 
L’apice dei festeggiamenti si raggiunse quando l’imperatrice volle ricevere i due alla reggia. Al momento dell'incontro, che aveva richiesto tre giorni di preparazione, Ferrarin e Masiero tremavano come mai prima. Tutto si svolse in assoluta sacralità. I due si inginocchiarono davanti all'imperatrice, che comunicava con loro attraverso una dama d'onore interprete. L'imperatrice si congratulò con Ferrarin e Masiero e si assicurò che i due avessero gradito le celebrazioni in loro onore. Consegnò loro due album contenenti disegni fatti dai bambini giapponesi di tutte le scuole, celebranti la loro impresa. Accortasi che i due parlavano e capivano il francese, l'imperatrice rivolse loro direttamente la parola in questa lingua, un fatto che per gli ambienti giapponesi parve incredibile perché infrangeva le regole del rigido cerimoniale di corte. Infine, celebrò il Regno d'Italia, il primo a compiere un'impresa simile, e chiese di portare in Italia tutta la stima, l'ammirazione e l'amicizia giapponese. Alla fine della cerimonia, ai piedi del Colle Sacro, due divisioni di soldati composero un rettangolo. Invitarono Ferrarin e Masiero al centro consegnando loro la grande spada Shamurai, che conferiva vari privilegi. 
Ovunque, nelle librerie, erano presenti opere di D'Annunzio tradotte in giapponese, mentre l'aereo di Ferrarin fu donato, dopo varie traversie, al "Museo delle Armi" a Tokyo. Nonostante l'indignazione pubblica giapponese causata dalla richiesta italiana di far rientrare prima Ferrarin e Masiero in patria, tentando di interrompere il cerimoniale, questo evento segnò inevitabilmente Ferrarin, Masiero e, soprattutto, il rapporto tra Italia e Giappone, che ne uscì notevolmente rafforzato, sia tra sovrani che tra i cittadini delle due nazioni, i quali iniziarono a riconoscersi reciprocamente come amici.  
Eventi come questo testimoniamo che è possibile costruire un rapporto di stima anche tra popoli culturalmente diversi tra loro e questo dovrebbe incoraggiarci a costruire un mondo migliore, basato sulla comprensione reciproca, sul rispetto e sulla cooperazione.
 

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