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LE PASSIONI DEI PADRI RACCONTATE DAI FIGLI - UNA MEDAGLIA ALLA RESISTENZA SENZA ARMI
LE PASSIONI DEI PADRI RACCONTATE DAI FIGLI - UNA MEDAGLIA ALLA RESISTENZA SENZA ARMI
Il tema di Archivissima 24 è “Passioni”. Abbiamo meditato su questa sfida ed abbiamo considerato che la parola potrebbe essere declinata in diversi modi. Ne abbiamo scelti due: Passione di chi ha vissuto un calvario personale durante l'ultima guerra mondiale e Passione di chi oggi, anche a distanza di tanti anni, vuole ricordare queste sofferenze, rendendo onore a questi nostri Padri.
La storia degli Internati Militari Italiani, i cosiddetti IMI, è un insieme infinito di sofferenze. È la Passione di ciascuno di quegli oltre 650.000 soldati nostri connazionali, che si trovarono abbandonati a se stessi in tutti gli scenari di guerra europei e furono imprigionati in campi di concentramento e costretti a lavorare per la macchina bellica tedesca, in condizioni terribili che spesso li portarono alla morte.
La Passione che anima chi oggi vuole ricordare è ben rappresentata da Aldo ed Emma Magnoni, padre e figlia, che hanno dedicato gran parte del loro tempo libero alla ricerca di queste storie. Ne abbiamo parlato con loro.
D. Aldo ed Emma, voi siete soci dell'ANMIG, ossia discendenti di un mutilato di guerra. Come mai avete deciso di intraprendere queste ricerche sugli IMI?
R. Per due motivi, il primo è dovuto al nome che porto. Aldo fu infatti il nome che mia nonna Emma volle per me, a ricordo di suo figlio che morì prigioniero in Germania e che lei, insieme a mio nonno Michele, ritennero disperso nel territorio tedesco senza mai avere avuto sue informazioni al riguardo. Soltanto parecchi anni dopo la loro morte, portai a termine una ricerca storica ritrovando il luogo di sepoltura e tutta la sua triste storia di prigioniero, mai venuta alla luce prima.
Il secondo è dovuto al grande silenzio in famiglia sulle vicende belliche che caratterizzarono mio padre Armando, dapprima sopravvissuto a Cefalonia durante il massacro della Divisione Acqui poi, successivamente, sopravvissuto all’internamento nel Lazzaretto di Zeithain, in Sassonia, il famoso “campo della morte” dove quasi 1000 giovani IMI morirono di stenti. Parlava raramente di questi trascorsi e soltanto una paziente ricerca d’archivio, condotta trent’anni dopo la sua scomparsa, mi ha permesso di far luce sul suo passato militare prima e di IMI poi.
Senz’altro questi due casi, che di fatto conservavano negli archivi vicende mai emerse, hanno influenzato una ricerca ben più estesa sul territorio delle vicende che hanno interessato gli Internati Militari Italiani.
D. E tu Emma, come mai una ragazza molto giovane come te si appassiona a queste storie del passato?
R. Sicuramente il contesto familiare dei miei nonni, paterni e materni, durante la seconda guerra mondiale. Infatti, oltre alle vicende di mio nonno Armando e del mio prozio Aldo, la nostra famiglia registrò due vittime civili durante la strage del 18 marzo 1944: mio bisnonno Lino e suo padre Luigi barbaramente trucidati dai tedeschi davanti alla propria abitazione. Mio nonno materno Guido invece, affrontò i nazifascisti da partigiano e fu tra i primissimi combattenti, come da lui stesso raccontato nel proprio diario che conserviamo, ad espugnare ed entrare nella Rocca di Montefiorino, dando così il via alla famosa “Repubblica di Montefiorino”.
D. Perché siete partiti dal territorio di Montefiorino?
R. Proprio perché la Resistenza senza armi in territorio nemico e soprattutto lontanissimi dalla famiglia, portata avanti dagli Internati Militari Italiani delle vallate del Dragone e del Dolo, non era fino ad oggi ancora stata minimamente valorizzata, quando invece quel tipo di lotta fu certamente speculare alla più nota Resistenza partigiana. Migliaia di documenti che attestano l’abbandono da parte delle Istituzioni Italiane degli IMI nel territorio dell’ex Reich per tantissimi mesi dopo il 25 Aprile 1945, e l’angoscia vissuta in quegli stessi mesi delle loro famiglie, non poteva più essere taciuta.
D. Che cosa vi ha particolarmente appassionato?
R. Indubbiamente la risposta collaborativa dei familiari intervistati. Dalle videointerviste di diversi ultracentenari ai giovani ragazzi nipoti e pronipoti degli Internati Militari e Civili deportati nei lager. Aver contribuito a far ritrovare lettere conservate magari senza una loro contestualizzazione storica, averle spesso integrate con documenti d’archivio sia nazionali che tedeschi, è stato spesso emozionante da ambo le parti. Ci siamo resi conto proprio durante i contatti con le famiglie, come le storie personali di questi giovani ormai tutti deceduti, stessero seriamente correndo il rischio di essere perse per sempre.
D. Quali storie vi hanno colpito?
R. Fame, violenze, freddo, malattie e spesso la morte hanno reso comuni tra loro le centinaia di vicende storiche raccolte. Certo è che le storie di chi non è potuto tornare dalla prigionia hanno dato riflessi emozionali magari più forti. (Soltanto per citare alcuni casi, i deceduti e dispersi nei naufragi durante i trasporti dei prigionieri via nave: Serradimigni Giuseppe nella motonave Mario Roselli, Frassineti Pietro nella motonave Oria, e Benevelli Giulio e Torri Aldo affondati con la motonave Sinfra. Tra i civili rastrellati e deportati nei lager nazisti ha molto colpito la morte dei tre fratelli Mario, Giulio e Dante Paladini che insieme a Franchi Alfredo perirono di freddo e stenti a Kahla, dove vennero poi sepolti in fosse comuni. Anche la storia di Vignaroli Placido è stata particolarmente toccante. Dopo essere fuggito dal campo di concentramento ed essersi aggregato alle forze partigiane italo iugoslave, venne colpito a morte in battaglia da un proiettile che trapassò portafogli ed effetti personali ivi contenuti. Quel portafogli, con il foro del proiettile ben evidente è stato rinvenuto presso i familiari.
D. Continuerete in questo lavoro?
R. Certamente. In primis attraverso il libro sugli Internati Militari e Civili delle vallate del Dragone e del Dolo che stiamo scrivendo.