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Il viaggio di Basilio Pompei, Internato Militare Italiano. Uno dei 600.000 soldati antifascisti italiani prigionieri nei lager nazisti

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Associazione Mutilati e invalidi di guerra di Firenze
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Associazione Mutilati e invalidi di guerra di Firenze
Dove si racconta il “viaggio” di Basilio Pompei tratto da un suo dattiloscritto originale conservato nell’archivio dell’ANMIG di Firenze, in cui racconta la sua sperienza di Internato Militare Italiano nei campi di prigionia e di lavoro in Jugoslavia, Ungheria, Austria, Polonia e Germania, prima ti tornare con un contorto e faticoso itinerario in Italia

ASSOCIAZIONE NAZIONALE FRA MUTILATI ED INVALIDI DI GUERRA

FIRENZE

 

Emilio Capannelli

 

Il viaggio di Basilio Pompei, Internato Militare Italiano

Uno dei 600.000 soldati antifascisti italiani prigionieri nei lager nazisti

 

Nota di contesto

L'archivio dell’Associazione fra Mutilati ed Invalidi di Guerra (ANMIG) di Firenze, notificato dalla Soprintendenza archivistica della Toscana, conserva i fascicoli personali dei combattenti residenti a Firenze, la corrispondenza e le carte gestionali dell'Associazione. Di notevole interesse sono i circa 5.600 fascicoli personali dei combattenti nella Grande Guerra, nelle guerre coloniali e nella Seconda guerra mondiale, nei quali vi sono notizie sulle campagne di guerra (fronte occidentale, greco-albanese, balcanico, della Russia, della Guerra di liberazione), sui campi di prigionia, sulle ferite riportate e le condizioni di salute avute nei decenni successivi. Importanti sono anche i documenti sulla costruzione della Casa del Mutilato di Firenze, sede dell’Associazione, avvenuta tra il 1934 e il 1937 e sui successivi interventi di restauro, fra cui per l’alluvione del 1966. La descrizione dell’archivio risiede nel Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche (SIUSA) e nel Centro Archivistico della Scuola Normale Superiore di Pisa

 

Le carte di viaggio di Basilio Pompei

L’archivio della Sezione di Firenze dell’Associazione Nazionale fra Mutilati e Invalidi di Guerra, anche conosciuto come “Archivio ANMIG di Firenze”, conserva tra gli altri documenti, nella serie composta dai 5.600 fascicoli personali degli iscritti all'Associazione (gli ex combattenti che avevano subito ferite o invalidità nelle guerre del Novecento, dalla guerra Italo-Turca, fino alla Seconda Guerra Mondiale), una documentazione di estremo interesse storico formata non solo da documenti relativi allo stato di salute dei combattenti, ma spesso anche da notizie sulle vicende militari da essi vissute. Molti fascicoli contengono quindi indicazioni sulle più sanguinose campagne militari del Novecento, quali la Guerra d’Etiopia, il Fronte greco-albanese, il Nord Africa, la Campagna di Russia; ma anche notizie sulla prigionia dei militari catturati dal nemico. Si tratta di veri e è propri “viaggi” iniziati talvolta con entusiasmo, ma conclusi spesso nella disperazione. Tra i tanti fascicoli di “viaggi” che sarebbe interessante raccontare, ve ne è uno di particolare rilievo, quello di Basilio Pompei, che contiene tra l’altro il dattiloscritto originale del suo “Racconto di fatti vissuti”, edito nel 1992 nel volume “Diario di Guerre e di prigionia”, a cura del comune di Pontassieve e con un’introduzione di Paolo De Simonis.

Lo scritto di Basilio Pompei, più che un diario (cioè uno scritto contestuale agli eventi descritti), è un testo di memorie, scritte quarant'anni dopo gli eventi accaduti. Ed anche se Pompei non è uno scrittore professionista, il suo testo è in grado di rappresentare vivacemente la realtà da egli “ricordata”, anche se, probabilmente, con qualche inevitabile scostamento dai fatti.

Basilio Pompei era un IMI, cioè un Internato Militare Italiano, e in quanto tale non aveva goduto dei diritti che spettavano ai prigionieri di guerra, poiché la Germania nazista non riconosceva come stato italiano il Regno del sud. Peggio degli IMI, che furono 600.000, i nazisti trattavano solo gli ebrei e i militari dell’Est Europa. Tuttavia, la storiografia ufficiale italiana per decenni ha ignorato gli IMI e solo nel 1997 è stata concessa una medaglia al valor militare all’internato militare italiano ignoto. In realtà il loro rifiuto di aderire alla Repubblica fascista di Salò fu un atto di estremo coraggio e di Resistenza, pagato con una terribile condizione di sussistenza che portò ben 40.000 di loro a morire. Lo stesso Basilio Pompei rivendica nel suo “diario”, a conclusione di narrazione, l’importanza del ruolo degli internati militari italiani nella lotta antinazista, dicendo che fu condotta da molti di loro anche con atti di sabotaggio, come fece lo stesso Pompei quando fu impiegato a forza nell’industria bellica.

Il viaggio di Basilio Pompei fu “un lungo, lunghissimo pellegrinaggio” in treno nell’Europa dominata dai nazisti, dopo un’iniziale e fallace illusione di un rapido rientro in Italia. Le soste del suo “viaggio” furono i campi di concentramento e le fabbriche di produzione bellica in cui fu recluso. Unica costante del percorso la terribile fame, la sete e l’inumana fatica che ebbe da sopportare. Il tutto alla mercé della gratuita violenza dei suoi carcerieri. Una situazione coatta in cui la condizione dei soldati semplici era ancora peggiore di quella, pur durissima, degli ufficiali.

L’inizio del “viaggio” fu la scelta, coraggiosa, di non aderire alla Repubblica fascista di Salò. Scelta ripetuta più volte, in più occasioni; scelta che portava il militare internato a perde anche il diritto di avere un nome e cognome. Infatti, gli veniva assegnato un numero al quale doveva rispondere; gli veniva anche tolto l’orologio e qualsiasi agenda o calendario potesse avere. Per cui durante il “viaggio”, negli spostamenti e durante le soste, gli internati militari perdevano completamente oltre all’identità anche il senso del passaggio del tempo, potendo riferirsi solo al passaggio dal giorno alla notte, in base alla presenza o meno della luce del sole. Il risultato ottenuto dai nazisti fu quello dell’abbrutimento dei prigionieri italiani, che spesso si trovarono in lotta tra loro per il cibo; dovendo adattarsi a mangiare quello che trovavano: bucce e scarti di ortaggi, patate, carote ed altro anche rosicchiato da animali. Basilio racconta tra l’altro di come un giorno lui ed altri sottraessero un sacco attaccato al collo di un cavallo, contendendosene il contenuto.

Il “viaggio” di Basilio Pompei verso i campi di lavoro fu lungo e contorto: la partenza avvenne in Albania, con la falsa promessa di un rapido rientro in Italia; poi fu portato in Jugoslavia, a Belgrado; poi in Ungheria, che egli attraversò tutta “in lungo e largo”; poi in Austria, a Vienna; poi in Polonia, a Biala Podlaska, vicino al confine russo; per arrivare infine in Germania, nel campo di lavoro di Grünberg, “uno dei posti peggiori” in cui Basilio era stato.

Ma qualcosa cambiò nel luglio del 1944. Quando con un accordo Hitler e Mussolini decisero che gli internati militari italiani non sarebbero più stati soggetti al controllo della Wehrmacht.

Il motivo di questo accordo fu dato dalla necessità per i tedeschi di mandare uomini al fronte, sottraendoli dalla produzione industriale; per cui si pensò di sostituirli con gli internati militari italiani che diventarono così una sorta di “lavoratori civili”, pur mantenendo le stesse condizioni di lavoro che avevano prima da internati militari: turni di lavoro massacranti, nessuna protezione da gelo, neve e pioggia, sempre vittime di una grande scarsità di cibo.

In tale, nuovo, contesto capitò a Basilio di essere ferocemente pestato da un carceriere nel campo di lavoro di Grünberg. Ma, il pestaggio si rivelò paradossalmente per Basilio Pompei una fortuna, perché venne mandato per essere curato prima al campo di Sagan, poi a lavorare nella fabbrica della Bosch (sempre in Germania), nella quale le condizioni dei lavoratori così detti “civili” erano migliori.

Con l’avanzata russa in Polonia la situazione nelle fabbriche tedesche divenne caotica e Basilio Pompei ebbe la possibilità di una fuga e di un avventuroso rientro in Italia, attraverso sempre un faticoso e contorto “viaggio” attraverso Monaco, Stoccarda, Innsbruck e il passaggio del Brennero. Una volta giunto in Italia, dove trovo che i ponti sul Po erano stati distrutti dai tedeschi in ritirata, Basilio dovette ancora una volta muoversi attraverso le poche strade che erano rimaste percorribili: da Bolzano egli andò a Pavia, poi a Genova, poi a La Spezia, poi a Massa e poi a Pisa, per rientrare finalmente a Firenze.

Le memorie scritte da Basilio Pompei si chiudono con una considerazione finale, sintesi perfetta di un “viaggio” iniziato a seguito di una coraggiosa scelta di campo dopo l’8 settembre del 1944:

“Ora a quarant’anni di distanza sono sempre vivi in me i duri sacrifici e tutte le angherie subite, ma sono contento di aver contribuito, sia pur in piccola parte, con i miei sabotaggi alla disfatta del nazismo, anche se i prigionieri sono ora da tutti dimenticati, perciò maledizione a tutte le guerre”.

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