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Le camicie rosse dopo la morte di Giuseppe Garibaldi: la guerra greco-turca
ARCHIVI COLLEGATI
Archivio dell'Istituto Internazionale di Studi "Giuseppe Garibaldi"
Roma - Piazza della Repubblica, 12
Il 2 giugno del 1882 si spegneva a Caprera Giuseppe Garibaldi.
Era la fine di un’epoca e a molti sembrava che nulla sarebbe rimasto come prima. Cosa ne sarebbe stato del volontarismo garibaldino? Sarebbe scomparso insieme al suo protagonista o ci sarebbe stato un cambiamento di referente?
La prova del fuoco si ebbe nel 1897, con lo scoppio della guerra greco-turca, causata dalla rivolta di Creta all’Impero Ottomano. Considerata la sproporzione tra le forze in campo, accorsero in aiuto della Grecia molti volontari provenienti da altre nazioni e naturalmente anche dall’Italia. I garibaldini, nella prima spedizione dopo la morte del loro Generale, si aggregarono soprattutto intorno a suo figlio Ricciotti, che sembrava averne raccolto il testimone.
A Roma la Società dei Reduci dalle Patrie Battaglie, il cui Archivio storico è conservato nella sede dell’Istituto Internazionale di Studi “Giuseppe Garibaldi”, aveva iniziato una raccolta di fondi e aperto gli arruolamenti, con l’aiuto degli studenti universitari.
La casa romana dello scultore Ettore Ferrari divenne la centrale in cui si organizzarono le partenze dei volontari, che si muovevano alla spicciolata prima che la questura lo impedisse loro. Infatti il governo italiano, a causa della sua neutralità, non avrebbe potuto consentire la partecipazione dei volontari alla guerra e pose vari ostacoli alla loro partenza dai porti della penisola.
La mattina del 21 aprile il generale Ricciotti Garibaldi, con un gruppo di volontari, partiva da Brindisi sulla nave Peloro alla volta della Grecia.
A Roma, il supporto ai volontari che avrebbero dovuto raggiungerlo era stato affidato all’esperienza di Girolamo Malloni, barcaiolo fluviale che aveva seguito Garibaldi in Trentino e nell’ottobre del 1867 aveva dato il suo contributo alla spedizione dei fratelli Cairoli.
Agli uomini fu dato appuntamento per il mattino del 26 aprile. Il piano prevedeva che il giorno seguente tre imbarcazioni di Malloni trasportassero le future camicie rosse lungo il Tevere fino a Fiumicino. Alle 15 si sarebbero imbarcati sul piroscafo procurato a Genova da Stefano Canzio, il genero di Giuseppe Garibaldi.
Il mattino del 26 arrivava un telegramma di Canzio a Menotti Garibaldi, con la comunicazione che la questura di Genova aveva impedito la partenza del piroscafo. Era tutto da rifare.
Un certo signor Morandi offriva la disponibilità della tartana Sefora, ancorata a Civitavecchia, di cui si dichiarava proprietario. Si scelsero 98 uomini e si diede loro appuntamento per la sera del 28 aprile, sulla sinistra del Tevere, a monte del ponte della Magliana. Qui si imbarcarono su un burlotto di fiume. Il giorno seguente, però arrivava una cattiva notizia: la tartana non era di proprietà del signor Morandi, ma di suo suocero, che si opponeva alla partenza. I volontari erano arrivati a Fiumicino e qui rimasero tre giorni in una macchia, sotto la pioggia. Furono raggiunti da Emilio Nissolino ed Ettore Ferrari, che li fecero tornare indietro. Alcuni di loro riuscirono ad arrivare a Brindisi in treno.
Di Emilio Nissolino, vecchia conoscenza della Società dei Reduci dalle Patrie Battaglie, l’Archivio custodisce la scheda di adesione agli Allievi Volontari arruolati nel 1881 da Menotti Garibaldi.
Nel frattempo altri uomini erano stati organizzati per partire da Rimini dal cinquantaduenne deputato forlivese Antonio Fratti, scrittore, poeta e veterano garibaldino, che aveva dato prova del suo valore nel 1866 in Trentino, nel 1867 a Mentana e nel 1870 in Francia. Nel nostro Archivio si conserva un foglietto a righe con i nomi di alcuni dei volontari che lo accompagnarono salpando a bordo del Simeto la notte del 27 aprile. Sul retro del foglietto è un breve resoconto con le fasi salienti della campagna.
Ricciotti Garibaldi fu invitato dal principe Costantino, comandante delle forze greche, a portarsi in Tessaglia, presso il villaggio di Domokos. Qui il 17 maggio si svolse una sanguinosa battaglia, nella quale le camicie rosse respinsero i turchi. Tra i 22 caduti garibaldini ci furono Antonio Fratti e il giovane Alarico Silvestri. Dopo qualche giorno fu firmato l’armistizio che poneva fine alle ostilità tra Grecia e Turchia. Gli italiani tornarono in patria tra le manifestazioni di ringraziamento del governo e del popolo greco.
Un altro grande romagnolo dedicò al sacrificio di Fratti una delle sue più intense liriche, immeritatamente poco conosciuta. Ad Antonio Fratti di Giovanni Pascoli coglie anche il senso di quel cambiamento epocale.
Nuove avventure attendevano i discendenti di Giuseppe Garibaldi. Nel 1912 Ricciotti andrà nuovamente in soccorso della Grecia, accompagnato dai figli Ricciotti jr, Costante, Giuseppe jr, Sante e Ezio, appena diciassettenne, scappato dal collegio. A due figlie femmine, Rosa e Italia, fu affidato il compito di Dame Infermiere, mentre la moglie di Ricciotti era Ispettrice del pronto soccorso.
Ricciotti accettò un riconoscimento, ma non di carattere militare. Nella sede dell’Istituto Internazionale di Studi “Giuseppe Garibaldi” si conserva ancora il suo diploma di affiliato alla prestigiosa Società Archeologica di Atene. Sua moglie Costanza invece fu decorata da re Giorgio con la Croce di Cavaliere di Giorgio I.
Il 28 aprile del 1929 la colonia greca di Trieste consegnava a Ezio, figlio di Ricciotti, uno stendardo come tributo di riconoscenza ai reduci triestini della campagna di Grecia.
(testi di Cinzia Dal Maso)
CREDITS
Testi di Cinzia Dal Maso