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Quando l’esistenza voglia tornare umana

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La lettura di una lettera della contessa Pecci Blunt a Libero de Libero, entrambi costretti a chiudere la loro galleria d’arte per l’entrata in vigore delle leggi razziali del 1938, scatena una tempesta di sentimenti nelle due autrici del testo; sul valore della memoria, sulla forza dell’arte, sul valore della lotta e della resistenza.

Un testo composto da Agnese Rapisarda e Lisa Anna Zucca, studentesse del biennio finale della Scuola di Comunicazione e Valorizzazione del Patrimonio Artistico Contemporaneo dell’Accademia di Belle Arti di Roma. Le loro immagini, fermate sulla carta, sono state ispirate da alcune tra le numerose lettere, circa un centinaio, inviate dalla contessa Anna Laetitia Pecci Blunt, detta Mimì, illuminata mecenate di respiro internazionale, a Libero de Libero, poeta e intellettuale dotato di una grande capacità critica, conservate nell’Archivio Biblioteca della Quadriennale di Roma, proprio nel Fondo Libero de Libero. Sono gli anni Trenta del Novecento e tra i due si stabilisce una fortissima intesa intellettuale che porta nel 1935 all’apertura della Galleria della Cometa, a Roma, e nel 1937 della succursale di New York. Libero de Libero ne è il direttore, e ha l’intento di “giovare alla nuova arte italiana più di ogni vaga parola”. Si puntava sulla qualità, senza scelte ideologiche. Le mostre organizzate nelle due sedi, fanno storia. Vi espongono artisti giovanissimi come Corrado Cagli, Renato Guttuso, Mirko, Manzù, Carlo Levi, Mario Mafai, Kety Castellucci, Adriana Pincherle, ma anche figure già affermate e consolidate come Giorgio de Chirico e Gino Severini. Nei cataloghi delle mostre vengono chiamati a scrivere poeti e intellettuali, piuttosto che critici: Ungaretti, Bontempelli, Savinio, Sinisgalli, Moravia. Ma questo sogno della Galleria della Cometa, diventato realtà, si infrange in breve tempo. Nell’autunno del 1938, dopo pochi mesi dall’emanazione delle leggi razziali, per gli attacchi incessanti della stampa, le pressioni intimidatorie, le accuse di esterofila, di sostenere gli artisti ebrei e di aver ordito quasi una rivolta segreta verso il regime, si arriva alla chiusura delle due gallerie.

Marlia, 1° ottobre 1938

Caro Libero,
non posso dirle la pena della sua lettera e il mio rammarico di sentirla così e non poter far nulla. Vorrei almeno che non si perdesse di coraggio e almeno nel suo lavoro spirituale trovasse conforto e sostegno per andare avanti. In questa tempestosa burrasca che ha travolto i nostri migliori amici, non bisogna lasciarsi perire. Sono cose tristi, tristissime, ma bisogna pensare che le cose mutano e bisogna tenersi moralmente vivi, per riprendere il filo dell’esistenza quando essa voglia tornare umana… 

… Per la Cometa accetto le sue decisioni, poiché l’avevo già pregata di fare come lei credeva meglio. Per ora bisogna lasciare che scaglino il loro veleno altrove. Anche in questo, un bel giorno ci penserà il destino a rivoltare la frittata… 

… Ho deciso, pur tenendola chiusa di non ridare il locale, almeno per ora. È un posto comodo e vicino che non si ritroverebbe così facilmente, e chissà caro Libero che non ci si sia dato di poterlo ancora utilizzare in un modo o nell’altro. Intanto lei scriva e vada annotando…

 

Con queste parole Mimì Pecci Blunt, in una drammatica lettera scritta su carta e busta color lilla, dalla sua favolosa Villa di Marlia, vicino Lucca, risponde a Libero de Libero, accettando la proposta del poeta di chiudere la galleria. 


Sono appena tornata a casa e poso lo sguardo sulla mia orchidea lilla. Ho sempre detestato quel colore troppo femminile, troppo posato, semplicemente troppo di tutto ciò che non ero o che non volevo essere. Preferivo già da piccola le cose non convenzionali, quelle che non mi dessero l’impressione di una gabbia oltremodo stretta e che mi concedessero un respiro più ampio, degli abiti che mi potessi cucire io stessa addosso e non adattarmi io a loro. Vivere in un mio mondo che, in ogni suo piccolo tassello, comunicasse me e se guardo le mie tele so di esserci riuscita, o perlomeno di essere sulla buona strada. È stata una giornata intensa e so che dovrei alzarmi ma rimango ancora un po’ così, tra l’assorto e il malinconico; ripenso all’Archivio e alla miriade di vite affastellate in uno spazio così limitato. È una sensazione insolita ma allo stesso tempo familiare, calda, persistente eppure evanescente; come la carezza morbida di una mano che si ritrae e tuttavia continui ad avvertirla sulla pelle e non sai ben dire se sia solo l’effetto del ricordo. Osservo fuori dalla finestra e chissà cosa c’era prima qui. Non è di certo la prima volta che alcuni pensieri mi attraversano e non sarà l'ultima, però questa volta non vi oppongo alcuna resistenza. Ci scivolo dentro. Credo che le storie abbiano uno straordinario potere: non importa se siano nostre o meno, inventate o reali, fintanto che lasciamo che queste si mettano in contatto con noi. Esse ci fanno viaggiare, facendoci avvicinare a luoghi e persone di tempi remoti, fantastici o attuali; ma quello che non cambia è che da ciò nasce un legame, una storia segreta e condivisa, che facciamo fatica a tenere per noi se ha avuto una qualche risonanza. Qualcuno diceva che alla fine di una lettura non si è mai gli stessi di prima e penso che se ciò è vero, questo cambiamento ─ questo piccolo seme ─ lo si voglia spargere. Ed è così che silenziosamente ciascuno avrebbe la possibilità di mutare, e il mondo con noi: alla fine, le storie cambiano il mondo.
Anna Laetitia Pecci Blunt, detta Mimì, era una donna come me e le sue parole sono intessute di tenacia, sensibilità e apertura mentale. Era capace di mettersi in dialogo con un’anima tormentata come quella dell’amico de Libero nonostante le rispettive personalità fossero in qualche modo antitetiche: lei fiduciosa e speranzosa, lui diffidente e timoroso. Due indoli che trovavano però un terreno comune – quello dell’arte – e la visione di questa: un’arte che fosse comunicazione e sperimentazione, comunione, anche e soprattutto in un’epoca come quella del fascismo, della sua censura e conservatorismo. Era una ribelle composta Mimì, e alla decisione di chiudere la Cometa, la sua non è una triste rassegnazione o arrendevolezza, ma una pacata attesa di chi sa che certi sogni non si possono mettere a tacere. È la tranquillità di spirito di chi sa di star lasciando un segno, di chi continua ad alimentare silenziosamente ma senza sosta la propria passione come un torrente alpino. Bisogna andare avanti, senza rinunciare a ciò che ci tiene vivi, a ciò che ci rende umani. Fino a quel momento, l’arte si era fatta strada nella Storia come uno tsunami su un piccolo villaggio, senza ostacoli e impedimenti, comandante del proprio viaggio. Ma con la chiusura della Cometa, per un attimo tutto è sembrato perso. Rispedire i quadri ai legittimi proprietari voleva dire cancellare tutto ciò che, tre anni prima, era stato attentamente studiato e progettato. La preoccupazione sembra ora farsi strada, quasi come fosse un essere vivente dotato di anima, quasi come fosse proprio questa a scrivere la lettera. Si trasmette in ogni parola, nella punteggiatura, tanto da essere trasmessa, di certo, a chiunque abbia letto quel foglio.
Ed è proprio li che arriva il calore, subito dopo quel senso di angoscia, avvolge il lettore come una coperta calda e crea un luogo sicuro che per un attimo fa sembrare tutto in ordine. Sicuro lui se la caverà, farà la sua grande carriera e non si lascerà abbattere da un imprevisto del genere. Non potrebbe mai, non con una sostenitrice come la contessa Mimì.
È talmente bella come sensazione che fa anche pensare che i quadri ritornati ai pittori potrebbero dar vita ad altre meraviglie. Non per forza deve esserci una fine così drastica. Potrebbe voler dire riposo, potrebbe permettere di rilasciare idee. Sicuro si risolverà tutto. È solo il presente che in questo momento è incerto, mai incerto quanto il futuro ovviamente, ed è questo il bello.
Magari la Cometa verrà riaperta, o magari la contessa e de Libero si rincontreranno a causa di questo definitivo, sfortunato evento.
Ho sempre odiato il colore lilla ma da oggi, grazie alla busta della lettera da Marlia, penso sia il colore della lotta e della resistenza.

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