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Liceo classico e musicale "C. Cavour", Torino
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Il racconto è liberamente ispirato alla biografia di Gian Maria Volonté e ai documenti del suo fondo archivistico, conservato presso l’Archivio storico del Museo Nazionale del Cinema di Torino. Volonté – attraverso un personale ricordo di eventi caratterizzanti che hanno segnato la sua vita e la sua carriera – viene qui semplicemente indicato con l’appellativo di Attore, non per niente l’attore italiano per antonomasia.

 

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La fuliggine. Era da quando l’Attore era in grado di ricordare che, al posto del cielo ceruleo e delle stelle fisse, vedeva il nero della fuliggine. Era da quando era in grado di ricordare che dormiva in uno scantinato con i suoi dieci fratelli e la madre vedova. Era da quando era in grado di ricordare che passava sedici ore con la famiglia in un capannone in mezzo ai rumori dei nastri trasportatori e ai calori emanati dai forni. Era da quando era in grado di ricordare che mangiava pane secco una volta al giorno. 
Era da quando era in grado di ricordare che la sua vita era come fuliggine.
Un giorno fuggì: scappò via, lontano, per le strade della città. E fu oltre gli angiporti e i vicoli ignoti che vide ciò che non avrebbe mai immaginato e che poi scoprì non avrebbe mai voluto vedere: un mondo diverso dal suo. Un mondo migliore del suo. Per la prima volta comprese che esistevano altri mondi e che non tutti erano uguali e giusti allo stesso modo. Si pentì di quella sua curiosità, e il senso di colpa per aver visto ciò che forse non doveva vedere lo attanagliò per diversi anni. Finalmente, da adolescente, seppe da sua madre tramite delle domande accuratamente poste che effettivamente esisteva un mondo migliore all’infuori del loro. L’Attore volle poter rivedere quel mondo e magari anche viverci. Ci riuscì unendosi a una compagnia teatrale ambulante, nella quale si fece strada, passando da comparsa a ruoli di primo piano. 
Nel periodo che va dall’adolescenza alla prima maturità ebbe modo di comprendere due cose: la prima, che quello che inizialmente era stato uno stratagemma per sfuggire dalla miseria e soddisfare la sua curiosità si rivelò essere una vocazione; la seconda, che il mondo migliore, frenetico, vivace e spensierato era tale solo grazie alla sofferenza e allo sfruttamento del suo mondo d’origine. Grazie all’Accademia riuscì a collaborare con registi e sceneggiatori noti, comparendo in televisione e al cinema. 
E dopo essersi fatto le ossa con ruoli a lui distanti e differenti l’uno dall’altro, riuscì finalmente a coniugare la sua professione con le sue idee: per lui recitare divenne un atto politico. Poté finalmente raccontare il mondo misero, con la sua cruda realtà, i suoi difetti, ma anche i suoi pregi e le sue lotte per la giustizia sociale. E cercava sempre di immedesimarsi al massimo nei suoi personaggi, contribuendo alla loro scrittura e compiendo scelte di interpretazione autonome rispetto a quelle del regista. La sua figura professionale e il mondo che amava erano simili: entrambi si stavano emancipando e stavano scegliendo da soli ciò che più gli conveniva. 
I risultati arrivarono sotto forma di inviti da parte di uomini politici e riscontro da parte del pubblico, soprattutto giovane. Non dimenticò mai la lettera che gli fu consegnata da un gruppo di ragazze colpite da una sua interpretazione. C’era ancora speranza per il futuro, e si trovava nelle nuove generazioni. 
Prima di lasciare questo mondo, l’Attore ebbe due delusioni: il partito che sosteneva i suoi stessi ideali (e di cui aveva fatto parte per un certo tempo), dopo essersi dimostrata una forza politica come le altre, occupata a fare solo il suo interesse, crollò su se stesso e si dissolse, inoltre l’industria del cinema voleva sbarazzarsi del suo scomodo personaggio, e in patria lo relegò a ruoli sempre più marginali. 
Continuò a recitare all’estero, vicino a una zona di guerra, per rappresentare ancora la cruda realtà che permette di sostenerne altre magari migliori. Proprio mentre praticava ancora le sue due più grandi passioni, alla fine cadde senza un lamento; il corpo privo di vita. La sua esistenza di profonda dedizione era giunta al termine: sorrideva, poiché aveva sgombrato la fuliggine.

Samuele Tinti
Liceo classico e musicale "C. Cavour", Torino, classe 4G

 

 

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