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Il racconto narra la storia della miniera di Cozzo Disi in Sicilia, a partire dai suoi promettenti inizi nel cuore dell'industrializzazione europea, quando offriva lavoro e benessere in un'area altrimenti povera. Tuttavia, la gestione iniziale, definita "rapina", si concentrò unicamente sul profitto a breve termine, trascurando la sicurezza dei lavoratori e causando numerosi incidenti e vittime. La situazione cambiò radicalmente con l'arrivo di Giovanni Ferrara nel 1912. Animato da una visione più umana e responsabile, Ferrara si impegnò a riorganizzare l'attività mineraria ponendo al centro la sicurezza e il benessere dei minatori e delle loro famiglie. Introdusse nuove tecniche di estrazione più sicure, migliorò le condizioni di lavoro, costruì alloggi dignitosi e scuole per i figli dei minatori, trasformando la miniera in un modello virtuoso. Nonostante i progressi, la miniera fu teatro di un tragico incidente nel 1916, con un'esplosione che causò numerose vittime. Questo evento, unito alle difficoltà economiche e alla natura insidiosa del sottosuolo, segnò un declino per la miniera di Cozzo Disi, che alla fine cessò la sua attività. Il racconto celebra la figura di Giovanni Ferrara come un esempio di imprenditore illuminato che, in un contesto di sfruttamento e pericolo, seppe mettere al primo posto la dignità e la sicurezza dei lavoratori, lasciando un'eredità positiva nonostante la tragica fine della miniera.

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CREDITS

Archivio di Stato di Agrigento, Fondo Tribunale di Agrigento, Cozzo Disi Sentenza del Tribunale di Girgenti n. 525 del 3 luglio 1919

All’inizio del Novecento, nel cuore pulsante della Sicilia, quando l’Europa
industriale stava divorando risorse e uomini per alimentare la crescita delle
sue città, l’isola viveva un periodo di sfruttamento senza pietà. Le miniere di
zolfo, disseminate sulle colline dell’entroterra siciliano, erano come cicatrici
profonde sulla pelle della terra. Una di queste, Cozzo Disi, situata tra i paesi di
Casteltermini e Racalmuto, era una delle più grandi e produttive, ma anche
una delle più dure e spietate per chi vi lavorava. Lo zolfo che veniva estratto
da Cozzo Disi era un oro giallo che alimentava le industrie chimiche europee,
gli esplosivi, i fertilizzanti. Ma sotto quella superficie dorata, la vita di chi
lavorava in miniera era ben lontana dalla luce del benessere. Era una vita
fatta di sudore, silenzi, e tragiche disillusioni. Le miniere erano luoghi di
sfruttamento puro, dove la sicurezza dei lavoratori era un concetto
sconosciuto. Si lavorava “a rapina”, ovvero in modo sregolato, senza alcun
rispetto per la sicurezza degli operai o per la durata nel tempo dei giacimenti.
Le gallerie venivano scavate senza criterio, le strutture erano deboli e
pericolose. I minatori, tra cui molti bambini, i
carusi, dovevano trasportare
pesi enormi per pochi centesimi al giorno. La loro vita non era altro che una
lunga e silenziosa sofferenza, dove ogni giorno poteva essere l’ultimo. Fu in
questo scenario desolante che, nel 1912, la direzione della miniera di Cozzo
Disi passò nelle mani di Giovanni Ferrara, un giovane ingegnere di appena
trent'anni, mandato da Roma con il compito di riorganizzare l’attività
mineraria. Ferrara non era come gli altri. Uomo del continente, portava con sé
non solo l’esperienza ma anche una visione totalmente diversa della miniera e
dei suoi lavoratori. Lontano dall’approccio brutale e rapace che dominava la
Sicilia, Ferrara vedeva nella miniera non solo una risorsa da sfruttare, ma un
organismo da rispettare, una terra da coltivare con attenzione e cura. La sua
filosofia era chiara: lo sviluppo non poteva venire dal saccheggio, ma dalla
gestione responsabile e dal rispetto per la terra e per chi vi lavorava. La sua
prima decisione fu radicale e controcorrente: sospendere le estrazioni per tre
mesi, dando così il tempo di riorganizzare l’intero impianto, migliorare la
sicurezza e mettere in atto nuove tecniche estrattive. La reazione degli operaifu inizialmente di paura. Temendo di perdere il lavoro, protestarono. I padroni
delle miniere vicine derisero Ferrara, considerandolo un idealista. Ma lui non
si lasciò scoraggiare e andò avanti, convinto che quello fosse l’unico modo per
evitare il disastro. Ferrara rafforzò le gallerie con telai in legno trattato,
introdusse un sistema di ventilazione forzata per evitare i pericolosi gas
sulfurei, acquistò pompe per il drenaggio dell’acqua e carrelli su rotaia per il
trasporto del materiale. Ma la sua vera innovazione fu quella di abolire il
lavoro minorile. Ferrara, consapevole della disumanità di impiegare bambini
nelle miniere, offrì ai padri un salario dignitoso e creò un banco di scuola per i
figli, dando loro la possibilità di studiare anziché lavorare. Fu un gesto
coraggioso e pionieristico che cambiò per sempre il volto della miniera. Il
cambiamento non avvenne dall’oggi al domani. Fu un processo lento, ma
inesorabile. Gli incidenti sul lavoro cominciarono a diminuire. Le condizioni
igieniche migliorarono. Gli operai, trattati con rispetto e dignità, si
affezionarono a Ferrara, vedendo in lui non solo un direttore, ma un uomo che
davvero si preoccupava per loro. La miniera di Cozzo Disi, lontana dal subire
un rallentamento della produzione, divenne la più efficiente dell’intera zona
dello zolfo. Ferrara, pur essendo un uomo d'azione, non si fermò alla sicurezza
fisica. Decise di coinvolgere i minatori nelle decisioni quotidiane. Ascoltava le
loro esigenze, accoglieva le loro proposte, cercava di risolvere i loro problemi.
Inoltre, introdusse un piccolo fondo previdenziale che garantiva assistenza
alle famiglie colpite da incidenti sul lavoro. La sua attenzione al benessere
degli operai e delle loro famiglie, insieme ai progressi ottenuti in termini di
sicurezza e produttività, fece di Cozzo Disi un esempio unico. Nel luglio del
1916, un tragico evento cambiò tutto. In quel periodo, le miniere siciliane
vivevano un’autentica strage. Le condizioni di sicurezza scadenti avevano già
causato numerosi incidenti, ma il più grave fu quello della miniera di
Serralonga, dove il 4 luglio morirono 89 operai, intrappolati sotto le macerie e
soffocati dai gas velenosi. La tragedia colpì duramente l’intero paese di
Campofranco e l’intera regione siciliana. Il dolore per quella catastrofe fu
enorme, ma a Cozzo Disi, grazie alle precauzioni di Ferrara, la tragedia non si
ripeté. Gli ingegneri di Cozzo Disi, avendo previsto il rischio di subsidenza
nella zona, avevano scelto di non scavare oltre una certa profondità. Le
gallerie, rinforzate con criteri innovativi, non cedettero. La sicurezza fece ladifferenza e salvò decine di vite. I giornali parlarono di un miracolo, ma
Ferrara, in una lettera inviata al Ministero, scrisse con molta semplicità: “Non
è stato un miracolo, ma il semplice frutto di ciò che si ottiene quando si lavora
con rispetto per la vita.” Quel momento segnò una svolta. Lo Stato, colpito
dall’efficienza e dai risultati ottenuti, decise di finanziare la trasformazione di
altre miniere siciliane secondo il modello Cozzo Disi. Casteltermini, il paese
che ospitava la miniera, subì un cambiamento radicale. I fondi derivanti dalla
miniera vennero reinvestiti nel territorio. Nacquero la prima scuola tecnica
mineraria del Sud Italia, un ospedale e una cooperativa di consumo per gli
operai. Le famiglie dei minatori, finalmente, poterono costruire case in pietra
anziché vivere in baracche di legno e lamiera. Il paese rifiorì. Gli emigranti,
che avevano lasciato la Sicilia in cerca di fortuna, cominciarono a tornare,
attratti dalla promessa di un lavoro stabile e dignitoso. La comunità si arricchì
di nuove professionalità: non solo braccianti e scavatori, ma anche tecnici,
insegnanti, piccoli imprenditori. Casteltermini divenne un esempio concreto di
come lo sviluppo economico potesse andare di pari passo con il benessere
della popolazione. Nel frattempo, la fama di Cozzo Disi si diffuse oltre i confini
italiani. Tecnici francesi, belgi e tedeschi arrivarono in Sicilia per studiare il
modello di Ferrara. Giovanni Ferrara partecipò a conferenze internazionali,
diventando un punto di riferimento per l’industria mineraria mondiale. Nel
1928, la miniera ricevette un prestigioso riconoscimento dall’Istituto
Internazionale della Sicurezza Industriale, che la definì un “esempio
eccellente di coltivazione sostenibile in area mineraria critica”. Poi arrivò la
Seconda Guerra Mondiale, che interruppe i progressi. La produzione di zolfo
diminuì a causa dei bombardamenti e della carenza di manodopera. Ferrara,
ormai anziano, riuscì però a vedere la sua miniera trasformarsi in un centro di
memoria e cultura. Gli operai furono impegnati nella bonifica, nei lavori
pubblici e nella trasformazione della miniera in un parco geologico. Quando
Ferrara morì nel 1959, lasciò un’eredità che andava oltre la semplice gestione
industriale. La sua visione di un lavoro dignitoso e responsabile continuava a
vivere nella comunità che aveva contribuito a costruire. Oggi, chi cammina nei
corridoi silenziosi di Cozzo Disi può sentire l’eco dei picconi, ma anche la
memoria di una Sicilia che, per una volta, non è stata solo una terra di
sfruttamento, ma una terra di coraggio, di innovazione e di futuro. Una terrache, grazie a un uomo che ha saputo vedere oltre il profitto, è diventata un
esempio di come il progresso possa e debba andare di pari passo con il
rispetto per la vita umana e per la terra.